Il sindaco di Odessa, Gennadiy Trukhanov - Ansa
C’è un vecchio detto ucraino: «Kiev è la prima città del Paese, ma Odessa non sarà mai la seconda». Con una popolazione che supera il milione e dal cui porto salpano le navi di cereali che sfamano mezzo mondo, la capitale del Mar Nero ha visto migliaia di persone scappare e altrettante arrivarvi dalle zone interne e dal Donbass per cercare riparo.
Gennadiy Trukhanov, da nove anni sindaco della città, ringrazia l’Italia anche per avere lottato nelle sedi internazionali facendo ottenere il riconoscimento Unesco. Soprattutto è grato per i volontari italiani presenti accanto alla popolazione civile e per gli aiuti umanitari, compresi di recente dei generatori elettrici di tipo industriale che consentono di fornire acqua corrente alla popolazione ed energia agli ospedali. Ma non nasconde l’amarezza per il modo con cui Mosca ha tradito l’Ucraina e la stessa Odessa, che di migliaia di russi era diventata meta di vacanze, di affari e non di rado una seconda casa.
Pur da ex capitano dell’artiglieria ucraina, Trukhanov nel frattempo diventato un uomo d’affari molto in vista, non si aspettava di dover fare il sindaco in tempo di guerra. E così le polemiche, gli scontri politici, le accuse tra i partiti, sono per il momento deposte.
Faccia da duro e modi schietti, finalmente si ammansisce nell’abbraccio di Attilio Malliani, il consigliere italiano per gli affari esteri del Comune: «Senza il suo lavoro oggi Odessa non sarebbe nell’Unesco», dice.
Il centro di Odessa - Fotogramma
Qual è la situazione generale?
Avvertiamo questa sensazione di stanchezza da parte delle persone. L’inverno è una stagione difficile e in guerra lo è di più, specie quando vengono danneggiate le infrastrutture energetiche. Tuttavia c’è una grande volontà di resistere, di collaborare alle iniziative di assistenza. C’è poi la pressione mediatica, il continuo tenersi informati sull’evoluzione del conflitto, le minacce incombenti, sono particolarmente stressanti. E il dramma della separazione delle famiglie, di chi è scappato e di chi magari è rimasto ma ha il marito, il padre, il fratello o il fidanzato al fronte.
Come risponde l’amministrazione ai bisogni della popolazione e dei profughi?
Arrivavano da noi ogni giorno centinaia di persone letteralmente affamate, senza vestiti di ricambio, senza un tetto. L’afflusso è diminuito ma le esigenze restano. Famiglie divise, persone traumatizzate, bambini terrorizzati e senza neanche un libro, un quaderno o un giocattolo. La loro vita precedente è stata completamente cancellata da chi ha occupato e distrutto le loro città e le loro case. Fino ad ora siamo riusciti a dare un tetto a tutti ma abbiamo bisogno del vostro sostegno.
Cosa fate specialmente per i bambini?
Tutte le nostre autorità se ne occupano, in particolare i dipartimenti responsabili dell’educazione e dei temi sociali. Non far perdere l’istruzione ai nostri ragazzi per noi è un obbligo morale. Sappiamo che il conflitto influisce molto sul processo educativo, perciò abbiamo deciso di potenziare l’istruzione a distanza.
Nelle ultime settimane avete autorizzato la rimozione di alcuni simboli della cultura e della tradizione russa, come la statua di “Caterina la Grande”, l’imperatrice a cui si deve la fondazione di Odessa. Perché?
In questa guerra la Russia di Putin sta manipolando la storia, la cultura, distruggendo anni di relazioni pacifiche, e strumentalizzando anche la religione. Ci sono stati molti russi nella storia della nostra città e non hanno nulla in comune con l’attuale regime, ma Putin ha screditato completamente la Russia. Quei simboli non erano nelle piazze da sempre e abbiamo preferito spostarli, ma questo non vuol dire rinunciare alla propria storia.
Da sindaco di Odessa, cosa chiede all’Italia e alla comunità internazionale?
All’Italia dico di non farsi sedurre dalla propaganda russa. Chiunque viene qui si rende conto di come stanno le cose. Abbiamo bisogno di assistere materialmente la popolazione e di proteggerla, perciò i sistemi di difesa aerea sono essenziali per contrastare gli attacchi contro i centri abitati.
Come immagina la fine della guerra?
Come il momento in cui potremo tornare alle nostre vite, ai nostri sogni, ricostruendo insieme a voi. E chissà che un giorno Odessa non possa vedere papa Francesco qui tra di noi. Sarebbe davvero quello il segno che la guerra è finita.