Una madre a Gaza consola le due bambine terrorizzate - ANSA
ACCORDI DI ABRAMO
Gli Accordi Abramo sono l’intesa raggiunta nel 2020 da Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, sotto l’egida dell’ex presidente Usa Donald Trump. Rappresentano la cornice di riferimento per il lavoro di normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e i Paesi della regione. L’Arabia Saudita è il tassello più importante del puzzle. Poche settimane prima dell’attacco del 7 ottobre, Riad aveva manifestato convinte aperture alla possibilità di siglare l’intesa. Gli Accordi mirano anche a isolare, grazie a una “cintura sunnita” l’Iran sciita degli ayatollah. Il sabotaggio di questo percorso potrebbe essere base del massacro: Teheran avrebbe “utilizzato” l’arma di Hamas (gruppo che sostiene e finanzia da sempre) per destabilizzare l’area.
BIDEN
Gli Stati Uniti sono da sempre il più stretto alleato di Israele. Il presidente Joe Biden ha manifestato totale appoggio al premier israeliano Benjamin Netanyahu (con cui i rapporti non sono mai stati ottimali) e ha inviato nell’area la portaerei Gerald R. Ford, navi, caccia e sostenute forniture di munizioni. Gli Stati Uniti sono pronti a fare la loro parte, escludendo però l’invio di truppe sul terreno.
CORRIDOI UMANITARI
Dopo il massacro, Israele ha blindato Gaza con un dispositivo militare senza precedenti. La popolazione all’interno della Striscia non ha alcuna possibilità di lasciare l’enclave sottoposta a bombardamenti se non attraverso la creazione di corridoi umanitari. L’Amministrazione americana, in coordinamento con Israele, sta cercando di attivare canali per la fuoriuscita dei civili. La “porta” sarebbe il valico di Rafah, al confine con l’Egitto, gestito dal Cairo. Ma il presidente al-Sisi non vuole un flusso ingestibile di profughi sul suo territorio. E Hamas non consente l’evacuazione della popolazione di cui si fa scudo.
Una ragazza piange le vittime israeliane - REUTERS
DETERRENZA
Avendo subìto un attacco senza precedenti, Israele ha la necessità di ripristinare il meccanismo di deterrenza che ha sempre garantito la sopravvivenza dello Stato. Netanyahu è chiamato a fornire una risposta che possa lanciare un inequivocabile messaggio dissuasivo ai potenziali nemici futuri. Su questa base, è ipotizzabile una reazione che comporti un uso della forza mai visto sinora nell’offensiva di terra su Gaza.
ESERCITO
L’esercito ha richiamato 360mila riservisti. Le Forze di difesa israeliane (Idf) possono contare su 177mila soldati attivi che rientrano nel personale di leva (sadir: tre anni gli uomini, due le donne). Sono invece più di 400mila i riservisti – i miluim – che vengono richiamati in caso di necessità. L’esenzione dall'obbligo di riserva è all’età di 40 anni per i soldati semplici, 45 per gli ufficiali e 49 per i riservisti che svolgono determinati compiti specifici (i medici, per esempio).
FAUDA
Fauda (caos, in arabo), la serie israeliana tra le più viste in tutto il mondo, è diventata realtà. Racconta la storia di un’unità speciale di anti-terrorismo che opera con uomini infiltrati nei Territori o a Gaza. Ora molti degli attori non sono più sul set: sono al fronte. Lior Raz (Doron) ha spiegato sui social di essere nella zona di Sderot con Avi Issacharov, ideatore con lui della serie, e altri volontari. Idan Amedi (Sagi) ha detto in post: «Come potete vedere, sono vestito in modo diverso oggi. Questa non è una scena di Fauda, questa è la vita reale».
GAZA
La Striscia di Gaza è un lembo di terra di 360 chilometri quadrati con la più altra densità di popolazione del mondo: due milioni di persone. Nei secoli, ha visto l’alternarsi di molti “padroni”. Prima il dominio turco, poi quello britannico. Poi gli egiziani. Nel 1947, il Piano di spartizione Onu la assegnò al futuro – mai nato – Stato arabo. Israele la occupò nel 1967, durante la guerra dei Sei giorni. Nel 1994, gli accordi di Oslo la consegnarono al controllo palestinese. Nel 2005, Israele si ritirò dall’enclave. L’anno dopo, Hamas vinse le elezioni. E dopo aver eliminato con una campagna violenta il gruppo rivale Fatah, iniziò a controllare Gaza con un regime di terrore. Fino a oggi.
HAMAS
Hamas è l’acronimo arabo di Ḥarakat al-Muqâwama al-Islâmiyya, ossia Movimento Islamico di Resistenza, ma le iniziali, abbinate, significano anche “entusiasmo, zelo, spirito combattivo”. È un’organizzazione palestinese di estremismo islamico considerata terroristica da Israele, Stati Uniti e Unione Europea. Nel suo statuto invoca la distruzione di Israele. Fondata nel 1987 durante la prima Intifada, ha rivendicato attentati suicidi contro i civili e attaccato centinaia di volte Israele con i razzi. Dal 2007 controlla Gaza con la forza. È sostenuta finanziariamente dall’Iran e dall’Hezbollah libanese.
IRAN
L’Iran (Paese sciita) sostiene il gruppo Hamas con aiuti economici e militari (nonostante il movimento sia sunnita) perché lo utilizza alla bisogna come elemento di destabilizzazione regionale e arma contro il «nemico sionista». Il Paese ha plaudito all’attacco del 7 ottobre, ma ha escluso la sua partecipazione diretta. Teheran ha tutto l’interesse a minare la regione che si stava compattando sulla scorta degli Accordi di Abramo. L’Iran finanzia anche l’Hezbollah libanese, che insidia Israele sul confine nord.
JIHAD
La Jihad islamica (Harakat al-Jihâd al-Islâmî fî Filasṭîn, ovvero Movimento per il Jihad Islamico in Palestina), è l’altro gruppo terrorista attivo nella Striscia di Gaza. Molto più piccolo di Hamas, ha però centinaia di affiliati, impegnati in particolare nel lancio di razzi contro il sud dello Stato ebraico. Il suo obiettivo strategico è la distruzione di Israele per sostituirla con uno Stato islamico palestinese. La Jihad fu fondata negli anni Settanta come ramo del Jihad islamico egiziano. È finanziata in parte dall’Iran e dall’Hezbollah libanese.
KIBBUTZ
Il kibbutz, (in ebraico “riunione”, “raggruppamento”) era originariamente, nei primi anni del 1900 (all’inizio del movimento sionista) una forma associativa volontaria di lavoratori, in genere in campo agricolo, basata su regole rigidamente egualitarie e sul concetto di proprietà collettiva. Tutto veniva condiviso: beni, risorse finanziarie, strumenti. Anche i bambini non vivevano con le famiglie ma in strutture dedicate, in cui abitavano fino all’adolescenza. Nei tempi più recenti i kibbutz si sono sviluppati come insediamenti produttivi che seguono, ognuno, un particolare progetto, dall’agricoltura all’elettronica.
LIBANO
È il “sorvegliato speciale” di questo conflitto: un coinvolgimento significativo dell’Hezbollah libanese comporterebbe l’apertura di un secondo fronte di guerra per Israele al confine nord (oltre a quello sud con Gaza) e soprattutto “certificherebbe” l’entrata in scena dell’Iran, con il rischio di un effetto domino regionale. Il regime degli ayatollah finanzia da sempre Hezbollah (in arabo “Partito di Dio), un'organizzazione paramilitare islamista sciita e fortemente antisionista. Hezbollah è nata nel giugno 1982. Ha anche rappresentanza politica. Ha sede in Libano e il suo segretario generale è Hassan Nasrallah.
MOSSAD
Il Mossad (il nome completo in ebraico è “HaMossad leModiin uleTafkidim Meyuchadim”, ossia “L’Istituto per l’intelligence e servizi speciali”) è l’agenzia di intelligence dello Stato ebraico che si occupa delle operazioni all’estero. Considerata tra le migliori del mondo, è stata accusata di non aver saputo cogliere i segnali di quanto si stava preparando a Gaza. Molti analisti hanno sottolineato che il Mossad è stato eluso su più piani. Soprattutto in considerazione del fatto che l’attacco del 7 ottobre deve aver richiesto una lunga preparazione nella Striscia.
NETANYAHU
È protagonista della politica israeliana da quasi 30 anni: Benjamin “Bibi” Netanyahu è stato primo ministro tra il 1996 e il 1999, poi dal 2009 al 2021, ed è ritornato al comando nel dicembre 2022. Per formare il suo ultimo governo si è dovuto appoggiare a una coalizione di estrema destra, che include personaggi molto discussi in Israele. I mesi che hanno preceduto l’attacco sono stati segnati da continue manifestazioni contro la riforma giudiziaria voluta dell’esecutivo, considerata un pericolo per la democrazia del Paese. Netanyahu deve affrontare tre processi per corruzione, frode e abuso d’ufficio.
OSTAGGI
Sono 120 (ma la cifra non è ufficiale) gli ostaggi israeliani portati a Gaza dopo il massacro del 7 ottobre. Sono soldati, ma soprattutto civili: uomini, donne, bambini e anziani. La loro presenza nell’enclave è al centro di ogni intervento che Israele sarà chiamata ad operare, con i raid aerei e con l’offensiva terrestre in preparazione. Hamas li utilizzerà come scudi umani, e soprattutto come merce di scambio. Nel 2011, per la liberazione del soldato Gilad Shalit, catturato al confine nel 2006, il gruppo terrorista pretese il rilascio di un migliaio di detenuti dalle carceri israeliane. Molti furono poi ri-arrestati.
PALESTINA
È lo Stato mai nato, oggetto di un conflitto vecchio più di 70 anni. Dopo la Seconda guerra mondiale, il 29 novembre 1947, le Nazioni Unite proposero un Piano di spartizione che prevedeva la nascita di uno Stato ebraico e di uno Stato palestinese. La maggior parte dei gruppi ebraici accettò e nacque Israele. I Paesi arabi rifiutarono. Oggi la Palestina, che si distribuisce, senza continuità territoriale, tra Gaza e la Cisgiordania, è un’entità fragilissima, in preda ad Hamas nella Striscia e di fatto senza rappresentanza politica nella Cisgiordania, dove Fatah cerca solo di sopravvivere ai tentativi di presa di controllo del gruppo rivale. I palestinesi non votano da 17 anni. Il presidente Abu Mazen le ha rinviate più volte nel timore di essere scalzato.
QATAR
Accusato da più parti di giocare un ruolo equivoco nelle più calde crisi mediorientali, e di aver fatto giungere fondi anche ad Hamas nella forma di “aiuti alla popolazione palestinese” della Striscia, Doha da anni si sta però proponendo a vari interlocutori internazionali nel ruolo di mediatore regionale: prima nelle trattative tra Casa Bianca e taleban, sull’Afghanistan, poi tra gli Stati Uniti e l’Iran per la questione nucleare. E adesso il sovrano al-Thani si è offerto come possibile mediatore per la questione degli ostaggi israeliani a Gaza.
RAZZI
Sono migliaia i razzi sparati da Hamas (ma anche dalla Jihad islamica) dalla Striscia contro lo Stato ebraico. Si tratta perlopiù di Qassam, la cui produzione avviene nell’enclave con materiali che riescono a passare l’embargo cui è sottoposta la Striscia. Con gli anni, i razzi si sono fatti sempre più sofisticati, e la loro potenza e gittata sono aumentate: se prima riuscivano a raggiungere solo le zone di Sderot e Ashkelon, ora arrivano a minacciare Tel Aviv e Gerusalemme. Israele li contrasta con il sistema antiaereo Iron Dome, che può, però, andare in saturazione se i lanci sono particolarmente intensi.
SCONTRI
L’attacco del 7 ottobre ha innescato forti scontri nel mondo tra sostenitori della causa palestinese e sostenitori di Israele. Derive di antisemitismo, mai sopite in Europa, hanno ritrovato energia, e si sono moltiplicati gli attacchi contro le comunità ebraiche. Bandiere di Israele sono state bruciate, come spesso accade, in Iran, ma anche in Iraq e in Siria.
TERRORISMO
Tanti hanno definito il massacro del 7 ottobre come l’11 settembre di Israele. Di certo si è trattato di un attentato terroristico tra i più feroci mai registrati. Hamas ha attaccato alle 6.30. Prima ha lanciato fra i 2.500 e i 5mila razzi dalla Striscia, poi ha fatto saltare parte della barriera di confine, e centinaia di terroristi si sono riversati nei kibbutz, massacrando la popolazione civile. Alcuni di loro sono arrivati utilizzando dei deltaplani. Il bilancio parla di 1.300 israeliani uccisi e 3.300 feriti. Poi ci sono 150 ostaggi. I terroristi hanno sparato indiscriminatamente su persone innocenti. In alcuni casi bruciate vive nelle loro case. L’orrore ha toccato l’apice nel kibbutz Kfar Aza, dive sono stati trovati anche 40 bambini assassinati, molti avevano la testa tagliata.
UNITA’
Israele, divisa dopo mesi di tensioni laceranti sulla contestata riforma della giustizia, ha ritrovato unità. Durante la crisi è stato formato un governo di emergenza nazionale: un esecutivo di guerra che avrà il compito di gestire la più grande sfida che il Paese è chiamato ad affrontare dopo il conflitto di Yom Kippur. Del governo fanno parte il premier Benjamin Netanyahu e il leader centrista di opposizione Benny Gantz. Non ha voluto entrare in formazione l’altro leader dell’opposizione, Yair Lapid.
VATICANO
Papa Francesco ha rivolto un appello affinché gli israeliani catturati da Hamas vengano «subito rilasciati». La diplomazia vaticana si è messa al lavoro. Come ha spiegato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, «la Santa Sede è pronta a qualunque mediazione necessaria, come sempre». Nel frattempo, il Vaticano cerca di «parlare con le istanze i cui canali sono già aperti» per mettere fine al conflitto. «Gli attacchi si fermino», ha supplicato il Pontefice, «perché il terrorismo e la guerra non portano ad alcuna soluzione».
WEST BANK
La West Bank, o Cisgiordania, fa parte, assieme alla Striscia di Gaza (con cui non ha collegamenti) dei Territori palestinesi. È costituita da città o insediamenti che non hanno continuità territoriale tra di loro. In base agli Accordi di Oslo è suddivisa in tre settori: Area A, interamente sotto controllo palestinese; Area B, controllo israeliano e amministrazione palestinese; Area C sotto controllo israeliano. È da sempre “feudo” di al-Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, e dialoga con Israele. Ma il suo controllo è insidiato da Hamas. Proprio per questo Abu Mazen ha più volte rinviato le elezioni. Le ultime si sono svolte nel 2006.
YOM KIPPUR
L’attacco lanciato da Hamas è stato paragonato a quello sferrato da una coalizione araba contro Israele 50 anni fa, nel giorno di Yom Kippur (in ebraico “Giorno dell’espiazione”, la ricorrenza più sentita nell’ebraismo). Le date (e non è un caso) si assomigliano: quel confitto ebbe inizio il 6 ottobre 1973, questo il 7 ottobre. In entrambi i casi venne sfruttato l’effetto sorpresa. Ma le similitudini finiscono qui: quella fu una guerra dichiarata da Stati arabi, guidati da Egitto e Siria, a Israele. Questo è un attacco terroristico che ha preso di mira civili innocenti.
ZELENSKY
Lo scoppio del conflitto in Medio Oriente sta dirottando l’attenzione del mondo dall’Ucraina a Israele. Il presidente Volodymyr Zelensky (di origine ebraiche) ha espresso piena solidarietà a Gerusalemme e sta pianificando una visita in Israele per manifestare la vicinanza tra i due popoli. Il presidente americano Joe Biden ha detto che gli Stati Uniti sono perfettamente in grado di sostenere entrambi gli alleati (che hanno peraltro esigenze belliche diverse). Ma è chiaro che Kiev guardi con preoccupazione all’apertura di questo nuovo fronte. E anche il mondo, che non si può permette una guerra nel centro dell’Europa e una guerra nel cuore del Medio Oriente.