mercoledì 31 luglio 2024
Centinaia di migliaia di sfollati nei campi sovraffollati «mancano di acqua pulita, kit per l’igiene e una gestione adeguata delle acque reflue»
Bambini palestinesi sfollati nella Striscia di Gaza

Bambini palestinesi sfollati nella Striscia di Gaza - ANSA

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Il caldo e un’epidemia di epatite stanno aggravano la crisi umanitaria a Gaza. È l’allarme a più voci lanciato dalle associazioni coinvolte nelle operazioni di soccorso alla popolazione palestinese straziata dalla guerra tra Hamas e Israele. Centinaia di migliaia di sfollati che la cronaca della tensione armata tra Beirut e Tel Aviv, ultimo atto di un conflitto si appresta a girare la boa dei 300 giorni, pare aver dimenticato.

Le parole con cui le Ong descrivono la situazione a Gaza sono sinonimi di catastrofe. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati di Palestina nel Vicino Oriente (Unrwa) parla di «condizioni disperate e disumane». Nei campi sovraffollati dei rifugiati, ha sottolineato, «mancano acqua pulita, kit per l’igiene e una gestione adeguata delle acque reflue».

I nuovi casi di epatite. A registrati ogni settimana, questa è la stima, hanno raggiunto quota mille. Le pessime condizioni igienico-sanitarie sono esasperate dall’ormai inesistete raccolta dei rifiuti. L’Undp, il programma Onu per lo sviluppo, raccoglie a Gaza circa 680 tonnellate di spazzatura al giorno che, tuttavia, non riesce a smaltire: le due principali discariche sono inaccessibili e i camion non riescono a uscire dalla Striscia. Il risultato è che l’immondizia rimane lì, a marcire sotto il sole, favorendo l’insorgere di malattie trasmissibili. Il 23 luglio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha dichiarato che a Gaza esiste un alto rischio di diffusione della polio, un virus che minaccia, in particolare, la vita di decine di migliaia di bambini sotto i cinque anni.

Il direttore Tedros Ghebreyesus ha scritto una lettera al Guardian annunciando l’invio di oltre un milione di vaccini ma ha chiesto «un immediato cessate il fuoco e una consistente accelerazione dell’assistenza umanitaria» per poterli somministrare. L’ultimo rapporto delle ventidue Ong impegnate in Palestina, riferito al periodo compreso tra il 13 e il 29 luglio, torna a denunciare mancanza di acqua, cibo e medicinali. L’assenza di elettricità e carburante ostacolano la manutenzione delle infrastrutture e la conseguente erogazione dei servizi essenziali. Il dossier punta il dito anche contro i ripetuti attacchi ai convogli internazionali che, superati i blocchi ai valichi, riescono a entrare nella Striscia: attentati che fanno saltare le forniture di aiuti esacerbando l’emergenza.

Due sono gli episodi più recenti. Il 21 luglio, le forze israeliane hanno sparato contro un convoglio delle Nazioni Unite a Gaza City; due giorni dopo è toccato a un camion dell’Unicef. Le Nazioni Unite hanno stimato che il volume medio giornaliero dei carichi di aiuti che entrano nei territori palestinesi è diminuito da aprile del 56%. Save the Children è riuscita a far arrivare a Gaza quattro camion di forniture mediche dopo aver aspettato al valico di Kerem Shalom, al caldo, per oltre un mese.

Altri 17 bancali comprensivi di antibiotici e farmaci per le malattie cardiache continuano invece a essere sono bloccati ad Al-Areesh, in Egitto. In stand-by, fuori dalla Striscia, ci sono anche i convogli di Oxfam carichi di serbatoi d’acqua, unità di desalinizzazione, generatori e bagni chimici. Stallo anche per i tir del Consiglio norvegese per i rifugiati che ha inviato 864 tende. «Non è forse abbastanza – è la domanda retorica di Bushra Khalidi, responsabile Oxfam – a smuovere il mondo?». L’ultimo appello è di Medici Senza Frontiere che segnala come il ritorno dei combattimenti nei pressi dell’ospedale Nasser di Khan Yunis, teatro mesi di pesanti scontri, metterebbe a rischio l’ultima struttura sanitaria funzionante a sud. Un raid israeliano, inoltre, ha colpito di nuovo la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio a Gaza City dove sono rifugiati oltre trecento sfollati. Tre persone sono state ferite.

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