Proteste contro il premier armeno Pahinyan nella capitale Yerevan - Ansa
Un’esercitazione congiunta con gli Stati Uniti a partire dalla prossima settimana. Lo ha annunciato l’Armenia, in un momento di crescente tensione militare con i vicini dell’Azerbaigian e mentre a proteggere la minoranza armena in territorio dovrebbero essere i militari russi, che non sono però riusciti a sbloccare il corridoio di Lachin, unica via d‘accesso per viveri e farmaci ai 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh. Anche per questa ragione Yerevan si appresta a lasciare la Csto, l’organizzazione di assistenza militare reciproca dei Paesi ex Urss.
Il Ministero della Difesa armeno ha dichiarato che lo scopo dell’esercitazione “Eagle Partner 2023”, che si terrà dall’11 al 20 settembre, è quello di favorire la collaborazione con gli Usa e preparare le forze armate a partecipare a missioni internazionali. Un portavoce dell’esercito americano ha dichiarato che parteciperanno 85 soldati statunitensi e 175 armeni. Ci saranno anche membri della della Guardia Nazionale del Kansas, che da vent’anni collaborano con Yerevan.
La mossa arriva in un momento di forte frustrazione armena nei confronti dell’alleato Mosca. Il primo ministro Nikol Pashinyan ha accusato la Russia, impegnata nella guerra con l’Ucraina, di non essere riuscita a proteggere l’Armenia da ciò che ha definito «continua aggressione da parte dell’Azerbaigian». Nonostante le dimensioni ridotte dell’esercitazione, la Russia ha detto che avrebbe osservato da vicino le operazioni.
Del resto Mosca dispone di una base militare in Armenia e di alcuni presidi militari territoriali che fanno della Russia la potenza preminente nella regione del Caucaso meridionale, che fino al 1991 faceva parte dell’Unione Sovietica. «Naturalmente, una notizia del genere è fonte di preoccupazione, soprattutto nella situazione attuale. Pertanto, analizzeremo a fondo questa notizia e monitoreremo la situazione», ha reagito il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.
Olesya Vartanyan, analista senior per il Caucaso meridionale presso l’organizzazione no-profit per la prevenzione dei conflitti “Crisis Group”, spiega che quello inviato a Mosca è un segnale molto forte, come se il governo armeno dicesse a Putin che «la vostra distrazione e il fatto di essere così inattivi gioca a favore del nostro nemico».
La Russia mantiene una forza di “mantenimento della pace” per sostenere l’accordo che ha posto fine alla guerra tra Armenia e Azerbaigian nel 2020, la seconda che hanno combattuto dal crollo dell’Unione Sovietica. Mosca questa settimana ha accusato il presidente armeno Pashinyan di «retorica pubblica al limite della maleducazione» anche se secondo l’analista Vartanyan l’Armenia e l’Azerbaigian sono più vicini a un possibile accordo di pace «di quanto non lo siano stati in passato». Tuttavia proprio le tensioni con Mosca e la situazione nel Nagorno potrebbero innescare una nuova escalation alimentata anche dall’atteggiamento della Turchia, che storicamente sostiene l’Azerbaigian. Molto dipenderà dalle scelte del Dipartimento di Stato Usa e dell’influenza che potrà esercitare sul governo azero.
Lunedì il presidente del Comitato europeo per lo sviluppo della Nato, Günther Fehlinger, ha dichiarato che l’Armenia dovrebbe aderire all’Alleanza. Sempre lunedì, il vice ministro degli Esteri armeno Vahan Kostanyan ha detto che il Paese sta collaborando con la Nato ed è pronto a continuare la sua cooperazione. A segnare ulteriormente la distanza da Mosca il primo invio di aiuti umanitari armeni a beneficio della popolazione ucraina.
Nagorno Karabakh, terra contesa dal ‘91
Nel settembre 2020 si è aperto un nuovo capitolo del conflitto tra Armenia ed Azerbaijan sul Nagorno Karabakh con tensioni che periodicamente riesplodono. La guerra ebbe inizio nel 1988, con rivendicazioni irredentiste nella regione azera del Nagorno Karabakh, la cui popolazione era costituita per il 75% da armeni. Nel 1991 scoppiò una guerra tra Azerbaijan storico alleato della Turchia e l’Armenia, tradizionalemte sostenuta dalla Russia, che terminò con un cessate il fuoco nel ‘94, lasciando il Nagorno Karabakh sotto l’occupazione dell’Armenia. La “Guerra dei quattro giorni” nell’aprile del 2016 portò a un armistizio che non ha però mai fermato gli scontri.