mercoledì 24 aprile 2024
Le forze armate hanno mobilitato due brigate. I capi dello Shin Bet e dell'esercito sono andati in Egitto per cercare di vincere le resistenze di Sisi. Biden invia aiuti militari
Le tende a Deir al-Balah

Le tende a Deir al-Balah - Ansa

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Imminente e inevitabile. L’operazione su Rafah si farà e «molto presto». Attenuata – almeno per il momento – la tensione con l’Iran, l’ipotesi di un’invasione di terra della città più meridionale della Striscia da parte dell’esercito israeliano  (Tsahal in base all’acronimo) torna al centro del dibattito politico e mediatico. E il governo di Tel Aviv fa di tutto per accreditarla. Nell’ordine, le forze armate hanno mobilitato i riservisti delle brigate Yiftah e Carmeli in vista dell’azione. Alti funzionari della Difesa, poi, hanno fatto sapere ai media di avere concluso la fase dei preparativi e di essere pronto all’attacco, per cui manca solo il via libera dell’esecutivo. Quest’ultima, in ogni caso, non dovrebbe arrivare prima di due settimane quando è prevista la riunione del gabinetto di guerra. Il responsabile dell’intelligence nazionale, Shin Bet, Ronen Bar e il capo di stato maggiore Hervi Halevi, infine, si sono recati in Egitto per discutere con gli 007 locali i dettagli di un’offensiva che Israele considera cruciale per smantellare Hamas. L’obiettivo, in realtà, è cercare di tranquillizzare il governo del presidente Abdel Fatah al-Sisi, che è contrario come, del resto, gli Stati Uniti nonché le principali organizzazioni umanitarie. Rafah ospita una comunità di almeno 1,3 milioni di rifugiati dal nord e dal centro di Gaza. Tra questi – sostiene Tel Aviv – si mimetizzerebbero quattro battaglioni del gruppo mentre sotto i loro piedi si dipanerebbe un labirinto di tunnel che garantirebbe il rifornimento continuo di armi ai miliziani. La loro distruzione, però, rischia di provocare una carneficina dei civili ammassati in superficie. Israele ha detto più volte di volerli evacuare. Il piano – hanno detto ieri fonti dell’esercito – è già predisposto e richiederebbe circa quattro settimane per essere completato: quarantamila tende sono arrivate a Khan Yunis per accogliere i profughi e, a breve, dovrebbero essere piazzate ad al-Mawasi, una lingua di terra larga un chilometro e lunga quattordici dove, però, è già piena di rifugiati. Per ora non se ne conosce il numero esatto, certa è, invece, la mancanza di acqua e servizi igienici per un numero così grande di persone. Da qui i continui appelli a Israele a rinunciare all’attacco. Lo stesso Joe Biden s’è rivolto direttamente al premier, Benjamin Netanyahu. Ieri, tuttavia, nel discorso pronunciato al termine della firma della legge per l’invio degli aiuti militari a Israele, non ha fatto cenno a Rafah. Il presidente Usa, invece, è tornato sulla necessità di garantire assistenza umanitaria ai civili della Striscia. «Israele assicuri aiuti umanitari senza ritardi», ha ribadito. Alcuni analisti sostengono che il silenzio del capo della Casa Bianca sarebbe una sorta di via libera implicito per gli israeliani, una sorta di “compensazione” per la rappresaglia soft nei confronti di Teheran. Altri, invece, sostengono che sia Netanyahu a “barare” su Rafah. La minaccia costante dell’operazione sarebbe solo uno strumento di pressione su Hamas al fine di spingerla all’accordo per il rilascio degli ostaggi. Ufficialmente 133 dei 257 rapiti il 7 ottobre sono ancora prigionieri nella Striscia. Nessuno sa, in realtà, quanti siano ancora vivi. Il gruppo armato dice più di venti e che fra loro vi sarebbe anche una trentina di esponenti dello Shin Bet. Proprio ieri, tra l’altro, l’organizzazione terroristica ha diffuso il video di uno di loro, Hersh Goldberg-Polin, 24enne con cittadinanza americana, catturato al Nova Festival di musica elettronica. Nel filmato, il ragazzo si rivolge direttamente a Netanyahu: «Devi vergognarti, perché ci hai abbandonato». Immediata la reazione del Forum dei familiari dei rapiti – di cui la madre del giovane, Rachel Goldberg-Polin, è una delle figure portanti – che ha tuonato l’urgenza di un accordo: «Non possiamo perdere altro tempo». Di nuovo, ieri, i parenti e i loro sostenitori hanno manifestato di fronte alla residenza di Netanyahu di Gerusalemme per chiedere di trovare un’intesa in modo da far liberare i sequestrati. Le trattative sembrano, però, al momento, impantanate. Nel mentre i combattimenti a Gaza proseguono. Il bilancio totale delle vittime ha raggiunto quota 34.262, in base alle stime del ministero della Salute, controllato da Hamas, 79 di queste sono state uccise nelle ultime 24 ore. Anche nel nord proseguono gli scontri con Hezbollah. Israele ha denunciato «azioni offensive» da parte del gruppo filo-iraniano: due razzi hanno colpito altrettante case all’interno dello Stato ebraico. Tsahal ha risposto massicci bombardamenti – almeno una decina – oltre la “Linea Blu”. Lo stesso esercito ha detto di avere colpito quaranta obiettivi nei pressi della cittadina di Ayta ash-Shab, nel sud del Libano e il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha detto di avere eliminato finora la metà dei comandanti di Hezbollah. Tensioni si sono registrate anche in Cisgiordania dove una donna ha cercato di pugnalare un soldato fuori Hebron ed è stata uccisa dai militari.

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