Anche Teheran si trova ad affrontare una nuova ondata di contagi - Ansa
Una nuova escalation sta colpendo l’Iran, incapace di imprimere un’accelerazione alla propria campagna vaccinale. Meno del 2 percento della popolazione ha completato il ciclo anti-Covid: le autorità riferiscono di aver somministrato 6,3 milioni di dosi, fra importazioni di Sinopharm (cinese), Sputnik (russo) e altri farmaci previsti dal meccanismo Covax a favore di Paesi a medio e basso reddito. Troppo poco per piegare la curva dei contagi della variante Delta, protagonista assoluta del nuovo picco. Si calcola che fra la metà di giugno e la prima settimana di luglio i casi siano raddoppiati. L’uscente presidente Hassan Rohani ha messo in guardia i cittadini da una «quinta ondata» di Covid-19, macabro sequel di una emergenza senza fine: nella Repubblica islamica sono stati superati due record regionali, cioè 3,4 milioni di infezioni e oltre 86mila vittime.
Esortando a diffidare dei vaccini che arrivano dal «Satana» (come si diceva un tempo degli Usa) occidentale, la Guida suprema Ali Khamenei ha ricevuto – sotto i riflettori della tv di Stato – il vaccino CovIran Barekat, made in Iran. Non è dato conoscerne le percentuali di copertura dal virus, ma la propaganda di regime compensa la mancanza di dati scientifici. Teheran punta anche sulla produzione in loco del siero cubano Soberana 02, frutto di una joint venture fra l’Istituto cubano Finlay e l’Istituto Pasteur in Iran. Ma il tempo stringe e la situazione precipita, restrizioni alla circolazione delle persone sono già state ripristinate. Il sistema iraniano prevede zone “rosse” e “arancioni”, e città classificate a rischio elevato.
Al nuovo presidente della Repubblica Ebrahim Raisi, che entrerà ufficialmente in carica in agosto (per il calendario persiano, nel mese di Mordad), il predecessore Rohani lascerà in eredità un lungo elenco di “patate bollenti”. In cima vi è la metodica aggressione informatica al Paese: fra gli ultimi attacchi cibernetici subiti, quelli confermati dalle autorità hanno preso di mira il portale Internet del ministero dei Trasporti – una «interruzione informatica», secondo la televisione di Stato – e le ferrovie nazionali. In pratica, per due giorni di fila sono stati manomessi tutti i computer dello staff ministeriale fino ai massimi livelli, e poi le principali tratte ferroviarie iraniane.
Il 23 giugno, invece, un tentativo di sabotaggio ha coinvolto un edificio dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana. Teheran accusa Stati Uniti e Israele per tutte le intrusioni informatiche verificatesi ai danni di realtà strategiche. Accusa rimandata al mittente: secondo Washington, sarebbero i pasdaran iraniani a bucare – o sforzarsi di bucare – il sistema informatico americano per carpirne i segreti. La nuova amministrazione dovrà fronteggiare anche le continue interruzioni elettriche, verificatesi in diverse aree del Paese, una inedita siccità, l’inflazione verso quota più 39 per cento annuo, lo scontento dilagante in una popolazione sfiduciata e apatica: alle recenti elezioni presidenziali di giugno, la partecipazione è stata di poco superiore al 48 percento.
Alla presidenza Raisi toccherà pure riprendere il filo delle trattative per un nuovo accordo con Stati Uniti e Unione Europea sul nucleare, rimesse in moto ad aprile e, secondo la stampa americana, arrestatesi il 20 giugno. Tuttavia, nel rapporto trimestrale del governo al Parlamento (una legge del 2015 prevede l’obbligo dell’esecutivo iraniano di aggiornare i deputati ogni tre mesi sullo stato dell’arte dei colloqui con la comunità internazionale) si cita un «accordo quadro» già messo a punto dalle parti. Lo rende noto Niac, l’associazione che rappresenta la comunità iraniana negli Stati Uniti, facendo riferimento alla seduta parlamentare in cui il ministro degli Esteri Javad Zarif, questa settimana, ha dato la notizia. Teheran per ora non conferma né nega, ma il portavoce degli Affari esteri iraniani precisa: «La posizione della nuova amministrazione non si discosterà da quella precedente».