martedì 4 agosto 2020
Andrea Stocchiero: i nostri progetti da anni sostengono le comunità locali nella lotta per avere educazione, salute e un reddito dignitoso
Volontari del Centro Pinocchio a Panciu, in Romania, prepara i pacchi alimentari

Volontari del Centro Pinocchio a Panciu, in Romania, prepara i pacchi alimentari - Collaboratori

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Il cibo, un diritto dimenticato. Perché garantirlo in modo completo ed efficace «implica un sistema di diritti molto più ampi della semplice sicurezza alimentare».

Andrea Stocchiero, responsabile policy di Focsiv, vista dalla «periferia» la pandemia sta mettendo a rischio il diritto al cibo. Abbiamo scoperto che non si sopravvive nell’“economia informale”. Dov’è l’errore di fondo in questo sviluppo che crea “invisibili senza pane”?
Noi occidentali, questa è la prima lettura, pensiamo subito che in certi contesti, per la loro storia, manca il Welfare state e la rete di servizi sul territorio come sanità, educazione. L’altra lettura, che viene dal Sud del mondo (si pensi ad esempio all’iraniano Majid Rahnema o all’esperienza di Dominique Lapierre) è che in questi Paesi in precedenza esisteva un diverso sistema di protezione sociale che grazie a una forte coesione sociale dava a tutte le persone la passibilità di avere una vita dignitosa: cibo a tutti, ma anche dignità in termini di educazione e salute. La colonizzazione e l’invasione del mercato hanno frammentato questo sistema delle comunità locali creando un grande vuoto. Quello che oggi cercano di fare alcune nostre ong è di ricostruire, partendo dal basso. In questo vuoto si sostengono le possibilità di risposta agli choch che arrivano sempre più dall’esterno, che sia una pandemia o grandi investimenti che espellono le comunità o impongono monoculturta.

E ora scopriamo che decine e decine di milioni di persone si trovano in poche settimane nella sicurezza alimentare. Ma, se si riuscisse a dare cibo a tutti, avremmo garantito il diritto al cibo?
Il diritto al cibo è molto più profondo rispetto alla sola sicurezza alimentare: quest’ultima consiste nel creare le condizioni perché si produca cibo e che sia distribuito. Ma per avere condizioni permanenti di accesso e disponibilità al cibo bisogna fare un salto di qualità. Il diritto al cibo chiede di conoscere le specifiche condizioni sociali ed economiche delle comunità minacciate dall’insicurezza alimentare. Ad esempio i popoli indigeni non hanno un problema di produzione e distribuzione del cibo, ma sono messi a rischio quando si rompono i loro tradizionali equilibri sociali. Diritto al cibo, per la popolazione indigena, significa allora assicurare il diritto alla terra, il non essere costretti a un inurbamento forzato e non dover così dipendere da aiuti. Diritto alla terra, alla educazione, alla salute prefigurano un sistema di diritti che garantisce di conseguenza il diritto al cibo. Diversamente si delega tutto agli aiuti di Stato, alla beneficenza in senso deteriore, o al mercato.

La Campagna Caritas-Focsiv punta a distribuire il cibo in aree di crisi., ma come affrontare alla radice questa povertà di cibo, come fare il «salto di qualità»?
Chi fa cooperazione ormai ha appreso che sostenere il diritto al cibo non sigifica tanto distribuire alimenti, che certo va fatto in una emergenza come questa. Quando il problema è strutturale, allora fare cooperazione significa sostenere le lotte di queste comunità locali, dei contadini degli indigeni per vedere riconosciuti i propri diritti. Gli interventi dei nostri organismi hanno senso quando stanno accanto alle comunità locali per sostenere i loro sforzi. I nostri progetti, anche di distribuzione nell’emergenza, si inseriscono in comunità con cui c’è un rapporto pluridecennale e così si sostiene la loro emancipazione per avere educazione, salute, un reddito dignitoso. I nostri progetti di intervento contro il Covid stanno dentro questi percorsi.

Ma quando, su scala globale, avremo imboccato un nuovo modello di sviluppo?
Quando cambieranno le regole del mercato e lo Stato riattiverà politiche che riequilibrino le diseguaglianze.

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