lunedì 30 luglio 2018
Campagne «persecutorie e di falsità» sui media indù contro i cattolici. Le autorità ordinano inchieste e perquisizioni in tutti i centri. Ma l’indagine riguarda solo una laica e una religiosa
Ragazzi a lezione da una Missionaria della Carità nella citta nordorientale indiana di Tripura

Ragazzi a lezione da una Missionaria della Carità nella citta nordorientale indiana di Tripura

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Un attacco concentrico e pesante. È con grande sofferenza che la Chiesa ufficiale indiana, e i rappresentanti delle associazioni laiche, seguono gli sviluppi dell’inchiesta su un presunto caso di compravendita di bambini avvenuto nella casa delle Missionarie della Carità di Ranchi, città del versante orientale dello Stato di Jharkhand. A chiedere l’indagine, attraverso formale denuncia, è stato il Bharatiya Janata (Bjp), gruppo politico conservatore con il maggior numero di rappresentanti nel Parlamento nazionale. John Dayal, attivista cattolico, non ha dubbi: «Il governo indiano, incitato dal nazionalismo religioso indù, ha deciso di dare una lezione alla comunità cristiana. È ormai ovvio – sottolinea in una dichiarazione rilasciata a nome dell’Unione cattolica “All India” – che il governo federale ordini un’inchiesta per ogni singola casa gestita dalle Missionarie della Carità che si prendono cura di bambini abbandonati, ragazze madri, donne senza fissa dimora, malati e moribondi».
Dayal punta il dito contro l’ordine di ispezione di tutte le Case della Carità del Paese emesso il 17 luglio da Maneka Gandhi, ministro federale per le donne e bambini, e osserva come «media obbedienti, funzionari terrorizzati e incaricati del governo di Jharkhand hanno sollevato una mostruosa bufera mediatica sul presunto caso di un’infermiera che ha accetto denaro illecito per un’adozione». «Nel frattempo – ribadisce Dayal – i sostenitori nazional-religiosi del governo e i gruppi indù non perdono occasione per accusare le Missionarie della Carità, e attraverso loro tutta la Chiesa d’India, di conversioni forzate al cristianesimo, di massicci traffici di bambini e di altri crimini». Interpellato da Avvenire appena dopo la visita del 12 luglio alla casa di accoglienza di Ranchi, il vescovo Theodor Mascarenhas, segretario generale della Conferenza episcopale indiana dal 2016, ammette che «in quel centro c’è stato un errore che non si sarebbe mai dovuto verificare, e la congregazione deve riconoscerlo». Ma, avverte, il caso viene adesso utilizzato per «demonizzare la Chiesa». L’indagine riguarda una donna dello staff, Anima Indwar, arrestata il 4 luglio insieme a suor Consilia in seguito a una denuncia di Rupa Verma, rappresentante governativa nella Commissione per il welfare dei bambini, che le ha accusate di aver venduto un neonato a una coppia.
In seguito a quell’esposto, la polizia ha ordinato l’arresto anche della madre superiore della casa, suor Marie Deanne, rilasciata però il giorno successivo. Il vescovo Mascarenhas dice di essere «inorridito dalle cronache esagerate che i media hanno fatto sul caso e dalle conseguenti dichiarazioni politiche». Repubblic, una delle più grandi emittenti televisive del Paese – nota anche per il suo dichiarato sostegno al Bjp – ha inizialmente fatto circolare la notizia che i bambini scomparsi dalla casa della Carità erano più di 280, spingendosi fino a bollare la congregazione come «azienda multi milionaria». Tre giorni dopo, il 14 luglio, il canale ha dovuto però rivedere le sue accuse iperboliche spiegando che i «bambini venduti erano tre».
In reazione alla propaganda orchestrata contro la congregazione, il 17 luglio la madre superiore generale, suor Mary Prema, ha diffuso un comunicato stampa di tre pagine per far sapere che «stiamo collaborando con gli investigatori e siamo aperti a qualsiasi libero, giusto e opportuno approfondimento». La sua dichiarazione, ha sottolineato, è stata elaborata sulla base dei fatti «realmente emersi» nella casa di Ranchi, dove la donna al centro dello scandalo, Indwar, ha portato via un bambino per cederlo in cambio di denaro senza che i superiori ne fossero a conoscenza.
L’uscita pubblica di suor Prema è stata resa necessaria, come spiega lei stessa, per chiarire un contesto dominato da «miti, informazioni distorte, false notizie e insinuazioni senza fondamento gettate contro le sorelle di Madre Teresa», che solo in India gestiscono 244 case in India e circa 760 centri in 139 Paesi del mondo.
Il sito d’informazione online Ucanews.com riferisce inoltre che l’11 luglio il capo della polizia di Jharkhand, Dinesh Kumar Pandey, ha scritto al segretario federale del ministero degli Interni per esortarlo a congelare i conti bancari della congregazione al fine di accertare eventuali violazioni sui finanziamenti ricevuti dall’estero. Il giorno dopo, è seguita la richiesta choc dell’Organizzazione patriottica nazionale, gruppo paramilitare volontario conosciuto come fonte del nazionalismo indù e sostenuto dal Bjp, che ha chiesto al governo di revocare a Madre Teresa, la “Santa dei poveri”, il premio Bharat Ratna, la più alta onorificenza civile indiana, che le era stata assegnato nel 1980 a distanza di appena un anno dal Nobel per la Pace. L’assurda pretesa ha provocato l’immediata reazione di Mamata Banerjee, primo ministro del Bengala Occidentale, lo Stato in cui la congregazione ha il suo quartier generale, che ha accusato il Bjp di aver preso di mira le Missionarie della Carità con l’unico intento di diffamarle.
«È stata la stessa Madre Teresa ad aver fondato la congregazione e ora le Missionarie della Carità non sono risparmiate dai tentativi malevoli di chi vuole infangare il suo nome», scrive Banerjee in un tweet. ll BJP non risparmia nessuno, e la cosa è altamente deplorevole. Lasciate piuttosto che le sorelle facciano il proprio lavoro a favore «di chi è più povero dei poveri».
«Siamo ormai alla caccia alle streghe» avverte Abraham Mathai, autorevole leader cristiano di Mumbai apparso in numerosi e chiassosi dibattiti televisivi sul caso, compresa Republic Tv. «Noi vogliamo – precisa – una vera inchiesta giudiziaria, non un bersagliamento politico. In 40 anni, solo a Mumbai, i bambini che sono stati affidati alla congregazione, compresi quelli nati da ragazze madri, sono stati più di 7.500 e non c’è mai stata alcuna occasione per lamentarsi». «Tutto questo è inaccettabile – tuona –. Le sorelle della Carità hanno dato l’esempio a tutto il mondo di come si serve l’umanità sofferente e ora sono demonizzate».
Padre Varghese Nediakalayil, un missionario verbita che ha partecipato a un dibattito in prima serata su Repubblic TV, spiega ad Avvenire: «L’unico obiettivo dell’incontro era proiettare un’immagine negativa del cristianesimo. Il conduttore ha disperatamente cercato per tutto il tempo di far passare il concetto che la congregazione è un’azienda che vende bambini». Padre Varghese Nediakalayil, che è segretario generale dell’Associazione diocesana dei Centri cattolici in India, era con suor Mary Prema, alla Casa Madre di Calcutta, quando si è diffusa la calunniosa notizia contro la Congregazione. Era il 19 luglio ed era appena terminata la Messa di prima mattina. Le poche parole della suora, riferisce padre Nediakalayil, sono state queste: «Non voglio dire nulla. Confidiamo in Dio e lasciamo tutto alla preghiera».
(Traduzione di Angela Napoletano)

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