Foto dall'archivio Ansa
Bandita a favore di stranieri, regolata solo pochi mesi fa da una apposita legge, la pratica della maternità surrogata sembra persistere in India, complici la povertà diffusa, ma anche l’influenza di nuovi stili di vita che incentivano a un benessere non strettamente connesso con le necessità essenziali. Connesso anche con una volontà di selezione della prole da parte delle classi più abbienti che valutano ormai, più che la sua quantità, la sua qualità secondo caratteristiche tradizionali e nuove. Infine, una pratica incentivata da una fiorente “industria”, in parte ora finita in clandestinità che ha forti collegamenti con una rete che non solo connette domanda e offerta di madri surrogate, ma anche – dopo la diaspora dovuta a provvedimenti restrittivi negli ultimi anni in Paesi come Thailandia, Nepal e Cambogia – propone orfani e minori comunque disponibili per l’adozione e diffonde la fertilizzazione in vitro.
Pratiche un tempo “borderline” sul piano sociale oggi “borderline” su quello legale, comunque difficili da delineare, delimitare e perseguire. Un nuovo caso è appena emerso in India, a conferma della persistenza di quella che il dottor Pascoal Carvalho, medico indiano e membro della pontificia Accademia per la vita definisce «cultura della morte mascherata da qualcuno che dà la vita». Al centro della sua accusa raccolta dall’agenzia AsiaNews, un traffico di embrioni umani scoperto in India e reso noto con risalto dai mass media che un cittadino malese era stato fermato all’aeroporto di Mumbai con nel bagaglio un contenitore con un embrione umano.
Sarebbero stati 10 negli ultimi 18 mesi i viaggi tra Malaysia e India di Partiban Durai, per gli inquirenti corriere su commissione, che avrebbe trasferito la sua “merce” particolare in una clinica specializzata in trattamenti per la fertilità di Mumbai. «È una cosa tragica – ha denunciato Carvalho –. La vita umana è un dono prezioso di Dio dal concepimento fino alla morte naturale». A rendere per il medico indiano contraria alla morale naturale l’azione del cittadino malese, la probabilità che gli ovuli fecondati erano destinati a essere impiantati nell’utero di alcune madri surrogate, a conferma che la pratica, bandita per legge con queste modalità e punita severamente con condanne al carcere fino a cinque anni, resta invece possibile e con essa, evidentemente, la possibilità di registrare e fare espatriare il bambino nato dalla gravidanza per conto terzi.
In questo un ruolo lo gioca probabilmente la possibilità per coppie indiane di ricorrere alla surrogata con il coinvolgimento consensuale di una loro parente. Forse gli indiani della diaspora hanno trovato complicità a essi favorevoli che permettono di aggirare la legge locale... Comunque sia, ancora una volta la Chiesa indiana si trova in prima linea nella condanna di pratiche di fertilizzazione e surrogate, con iniziative a livello nazionale e diocesano. Lo stesso dottor Carvalho ricorda che la Commissione per la vita umana dell’arcidiocesi di Mumbai conduca con regolarità attività di promozione della cultura della vita.
A questo proposito Mumbai ospiterà domenica una marcia per sensibilizzare alla vita in accordo – ricorda il medico indiano – con «la voce profetica della Chiesa che si oppone alla mentalità contraria alla vita e promuove in maniera attiva una cultura della vita».
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