sabato 21 settembre 2024
Francesco invoca un carico fiscale maggiore per chi è economicamente più forte. E auspica un salario minimo. L'invito ai cardinali sui conti: tagliate il superfluo
Il Papa con i rappresentanti dei movimenti popolari

Il Papa con i rappresentanti dei movimenti popolari - Vatican media

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Alcuni super-ricchi sono consapevoli che il sistema grazie al quale hanno potuto accumulare fortune eccezionali, al limite dell’assurdo, è «immorale e deve essere modificato». Concordano sul fatto che debbano esserci più tasse per i multimilionari. «E questo va molto bene». È stato un distillato di Dottrina sociale della Chiesa, incarnata nel convulso scenario attuale, il discorso di papa Francesco ai movimenti popolari. Categoria quest’ultima, poco familiare per l’opinione pubblica del Nord del pianeta. Anche in questa parte di mondo, in realtà, l’informalità lavorativa è in crescita. Nel Sud globale già da tempo è la regola. Oltre il 60 per cento della manodopera non trova posto nel circuito dell’economia regolare. I movimenti popolari riuniscono quanti fra gli esclusi rifiutano di rassegnarsi e combattono per i diritti propri e dell’intera popolazione fragile, non solo protestando in modo nonviolento ma costruendo alternative. Un cammino che la Santa Sede accompagna da dieci anni. Nel rivolgersi a loro, il Pontefice ha inviato un messaggio universale, proseguendo quell’Enciclica a puntata su economia e giustizia tracciata nelle precedenti riunioni con i movimenti popolari.
Nell’incrocio di sguardi, riflessioni, battute con i poveri, le parole del Papa acquisiscono, ogni volta, la forza di una “Rerum novarum” del XXI secolo. Anche in quest’occasione, Francesco non ha mancato di affrontare, senza reticenze, alcune questioni scottanti dell’attualità. Di cui, però, il Papa ha rivelato le cause profonde, oltre gli slogan. La “tassa per i super-ricchi”, ad esempio, con cui – ha aggiunto – sostenere i più poveri e il ceto medio, sempre più in difficoltà. Secondo la Tax justice network, che promuove la campagna, con un incremento minimo – un’aliquota tra l’1,7 e il 3,5 per cento – per i “paperoni”, si raccoglierebbero 2mila miliardi di dollari. Il Brasile ne fatto della misura la bandiera della propria presidenza del G20. Il processo si è, però, incagliato per no degli Usa. «Se questa percentuale tanto piccola di miliardari che accaparra la maggior parte della ricchezza del pianeta scegliesse di condividere... che cosa bella sarebbe per loro stessi e che cosa giusta per tutti», ha esortato il Pontefice, sottolineando: i privilegiati «sarebbero molto più felici». Qui Francesco ha compiuto un salto, facendo emergere il cuore del problema. Le tasse esprimono il vincolo di fraternità che unisce i cittadini. Pagarle significa riconoscersi famiglia umana. In questo si inquadra l’appello ai giganti dell’high-tech: «Mettete da parte l’arroganza di credervi al di sopra della legge. Siate rispettosi dei Paesi dove operate» e «pagate le tasse».
Contrariamente a certa narrativa – sulla quale ha scherzato – il Papa riconosce il contributo fondamentale degli imprenditori alla società in termini di creazione di lavoro e ricchezza. La loro capacità, l’intelligenza, l’intuizione – anche se spesso le grandi fortune sono frutto di eredità, rendite o, peggio, di sfruttamento e crimine –, però, sono dono gratuito di Dio. Chi ne ha consapevolezza non può non metterlo a servizio di tutti. Gli altri, invece, si rifugiano nella bolla dell’accumulo sfrenato. Trasformano il privilegio in diritto illimitato. È questa la «cultura del vincitore», contro cui ha messo in guardia. È l’altra faccia della «cultura dello scarto», a cui Francesco contrappone la mano tesa ai cosiddetti “perdenti”. Da qui, un appello – già fatto nel 2020 – a un salario di base universale. «In tempi di automatizzazione e intelligenza artificiale, in tempi di informalità e precarizzazione lavorativa, nessuno deve essere escluso dalle risorse minime necessarie alla sussistenza». Non si tratta di vivere di assistenza. Da sempre il Pontefice invoca la responsabilità anche economica delle persone. E, proprio, ieri, l’ha scritto al Collegio cardinalizio, a cui ha chiesto di gestire le finanze del Vaticano con «spirito di essenzialità, evitando il superfluo e selezionando le priorità» in modo che un deficit zero «non sia solo un obiettivo teorico, ma una meta effettivamente realizzabile». L’aiuto all’altro «è compassione», sentire le sofferenze altrui come proprie. E la compassione, insieme alla misericordia e alla vicinanza, è attributo di Dio.


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