Una nuova ondata di arresti, una quarantina, ha interessato domenica la comunità cristiana di Youhanabad, a Lahore, come conseguenza del linciaggio di due individui dopo gli attentati suicidi che il 15 marzo hanno devastato due chiese dell’area, uccidendo 17 persone, in parte musulmani. Ultima vittima, un bambino di sette anni ferito e morto l’altro ieri. Salgono così a oltre 70 i cristiani che la polizia – anche in base a filmati delle videocamere sistemate nella chiesa cattolica e in quella protestante coinvolte nel grave fatto di sangue – ritiene di avere individuato come parte della folla responsabile dei linciaggi. Una violenza condannata ieri dal vicario episcopale di Lahore, padre Francis Gulzar: «Per la prima volta nella storia del Pakistan i cristiani da vittime si sono fatti carnefici. Un atto disumano che tutti condanniamo». L’attacco rivendicato dalla fazione Jamat-ul-Ahrar del movimento Tahreek- i-Taliban Pakistan, oltre a numerose vittime, ha portato nuova paura e tensione a Youhanabad, maggiore enclave cristiana del Pakistan con i suoi 10mila battezzati di varia denominazione. «La situazione è tranquilla, ma a Youhanabad – prosegue la testimonianza rilasciata all’agenzia Fides da padre Gulzar, che è anche parroco di San Giovanni, colpita dall’attacco dinamitardo – c’è ancora molta paura. I fedeli temono arresti da parte della polizia ma anche eventuali vendette. In ogni caso il ruolo delle forze di sicurezza nel quartiere è molto positivo». (Stefano Vecchia)
Sotto attacco, in Pakistan, non sono solo i cattolici, ma l’intero Paese. «Siamo una democrazia – afferma l’arcivescovo di Karachi, Joseph Coutts – e questo dà fastidio ai fautori dell’islam più intransigente. Per questo cercano di destabilizzare il governo e creare terrore nella popolazione». Il presule, che è anche presidente della Conferenza episcopale pachistana, ieri sera ha preso parte al secondo incontro del ciclo Dialoghi in Cattedrale, organizzato dal Vicariato di Roma a San Giovanni in Laterano. Il tema era «La libertà religiosa e la libertà d’espressione nella società multiculturale», un argomento di grande attualità soprattutto alla luce di quanto sta avvenendo in Medio Oriente e in varie parti del mondo islamico e proprio nel giorno in cui si ricordano i martiri della fede di questo inizio del terzo millennio.
Monsignor Coutts, perché tanta violenza contro i cristiani?
In generale perché i terroristi – da al-Qaeda in poi, fino a giungere a Boko Haram e all’Is e senza dimenticare i taleban – identificano la cristianità con l’Occidente. Nella loro visione delle cose le Crociate non sono mai finite. Sono continuate nei diversi periodi storici attraverso il colonialismo e lo sfruttamento economico e oggi tramite la superiorità tecnologica. In questo contesto, anche la democrazia, essendo considerata emanazione dell’Occidente, viene rifiutata e si punta alla instaurazione dello Stato islamico.
Questo in generale. E per quanto riguarda il Pakistan?
L’attacco è al Paese in quanto democrazia. Hanno cominciato con l’esercito, poi quando l’esercito ha reagito ed è diventato un obiettivo non più così facile da colpire, hanno virato sulle scuole, con attentati spaventosi come quello di dicembre. Infine, quando anche le scuole hanno ricevuto maggiore protezione, hanno iniziato ad attaccare le chiese e anche qualche moschea frequentata da musulmani moderati. Noi cristiani siamo una piccola minoranza e siamo i più vulnerabili.
La situazione potrebbe peggiorare in seguito alla reazione che ha portato al linciaggio di due musulmani, dopo gli attentati di Lahore? Già ieri ci sono stati arresti indiscriminati di diverse decine di cristiani.
Su questi arresti ancora non so molto, perché ero in viaggio e non ho sentito i miei collaboratori a Karachi. Comunque è chiaro che arrestare la gente così è ingiusto. Allo stesso modo, però, dobbiamo dire che il linciaggio non è stato un atto da cristiani. La violenza porta solo altra violenza e non si deve rispondere in questa maniera alle offese ricevute. Anche se gli animi erano esasperati dal fatto che non era il primo attacco sanguinario e che finora la polizia non ha fatto molto per proteggerci.
La popolazione pachistana è islamica al 95 per cento. Qual è stato l’atteggiamento della società civile di fronte agli attentati ai danni dei cristiani?
Abbiamo ricevuto tanti attestati di solidarietà e questo ci conforta. Domenica scorsa un gruppo di giovani universitari della Commissione per i diritti dell’uomo, tutti musulmani, hanno fatto una catena umana davanti alla Cattedrale di Karachi, per simboleggiare la loro volontà di difendere i cristiani dagli attacchi. Alla fine della celebrazione sono uscito e li ho salutati a uno a uno.
E in generale verso i terroristi?
Oggi nell’islam convivono tre diversi atteggiamenti. Ci sono i terroristi, disposti a uccidere pur di imporre la sharia. Per fortuna sono ancora una minoranza, ma stanno facendo proseliti presso le classi più povere. Ci sono poi quelli che sono pronti a schierarsi perché non credono che quello sia il vero islam. E sono anch’essi una piccola minoranza. E c’è poi la grande maggioranza silenziosa che resta a guardare. Sconfiggere il terrorismo significa convincere questa maggioranza a prendere posizione contro la violenza. Insomma oggi siamo a un bivio, perché l’islam ha ancora un piede nel Medio Evo e un altro che vorrebbe avanzare verso il futuro.
Per Asia Bibi ci sono speranze?
Aspettiamo la sentenza della Corte suprema e confidiamo nella saggezza dei giudici.
Che cosa può fare la Chiesa italiana per i cristiani perseguitati in Pakistan?
Sappiamo di poter contare sulle vostre preghiere e sulla vostra solidarietà.