Abdul Hamid Mohammed Dbeibah - Ansa
Ci sono voluti sette anni per ricucire la spaccatura in due del Paese e per assistere ai primi vagiti di un governo di unità nazionale in Libia. Ora spetterà alla coppia formata da Abdul Hamid Mohammed Dbeibah e da Mohamed Ahmed al-Manfi – rispettivamente alla guida del nuovo esecutivo libico e del Consiglio presidenziale – l’immane compito di pacificare un Paese andato letteralmente in frantumi, rimasto diviso a lungo tra due amministrazioni e due eserciti, una miriade di fazioni (armate) in lotta tra loro, le potenze straniere impegnate a condizionarne l'equilibro e fagocitato da una crisi economica senza precedenti: il Pil libico nel 2020 è crollato del 40,9 per cento a causa dell’effetto combinato della pandemia e del blocco di nove mesi della produzione petrolifera. Paradossalmente è stato proprio lo stallo militare sul campo a fornire alla via diplomatica, sotto l’egida delle Nazioni Unite, l’insperata possibilità di accelerare, fino ad arrivare al giuramento del nuovo governo lo scorso 15 marzo, governo atteso da due «impegni» enormi: modificare la Costituzione e condurre il Paese a libere elezioni a dicembre di quest’anno.
Sembrava che nulla potesse fermare l'avanzata su Tripoli dell'esercito nazionale libico guidato da Khalifa Haftar. Poi, invece, 14 mesi di assedio (e l'intervento della Turchia) hanno fiaccato l'azione del generale e ridato slancio a quello che al-Jazeera ha definito «il più grande sforzo di pace della Libia da anni». Prima è arrivato il cessate il fuoco (ottobre 2020), poi a febbraio, dopo mesi di negoziati, i 75 membri del Forum di Dialogo politico Libico (Lpdf) tenutosi a Ginevra e sostenuto dalle Nazioni Unite, hanno scelto l'uomo incaricato di tirare fuori la Libia dal pantano di una guerra di tutti contro tutti. Ma chi è Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, non proprio uno dei “favoriti” alla nomina a premier? Uomo d'affari, si tratta di una vecchia conoscenza del regime di Gheddafi. Dbeibah ha guidato per due decenni una società di costruzioni statale, la Libyan Investment and Development Company. Secondo il sito Atalayar, lo zio del nuovo premier libico possiede un canale di trasmissione satellitare in Turchia, «un aspetto fondamentale – si legge – che mostra che i rapporti tra i Dbeibah e la Turchia sono stretti. La sua candidatura è stata una delle più fortemente sostenute ad Ankara». Il suo governo, come spiegano dall’Ispi, conta «27 ministri, 6 sottosegretari di Stato e 2 vice-primi ministri, e un numero di donne sia nei ruoli ministeriali che vice-ministeriali pari al 30% del totale, inclusi per la prima volta nella storia del paese i ministeri della Giustizia e degli Affari esteri. Resta al momento vacante il Ministero della Difesa, provvisoriamente assunto dal Primo ministro in attesa che venga raggiunto un accordo su un nuovo nome».
Cosa lo aspetta? Difficile dirlo. La sua elezione è stata salutata favorevolmente da Turchia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, così come dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea. Le Nazioni Unite hanno parlato «di un giorno storico». Restano però i “buchi neri” che rischiano di affossare il futuro della Libia, a cominciare dalla presenza di oltre ventimila combattenti stranieri (mercenari compresi). Il neo premier libico ha definito la loro presenza una pugnalata. Bisogna vedere se saprà frenarne gli appetiti.