martedì 19 novembre 2024
Razzi «di Hezbollah» su un'altra postazione dei militari internazionali avrebbero causato dei feriti. A Beirut l'inviato della Casa Bianca, Hochstein: c'è la «reale opportunità» di un accordo
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Si intensifica il fuoco incrociato tra l’esercito israeliano e i miliziani di Hezbollah, nel sud del Libano. E sotto i tiri finiscono le basi e i soldati dell’Unifil, la missione internazionale di interposizione stanziata dal 2006 lungo la Linea Blu, poco oltre il confine con Israele. Le basi colpite sono due, una è italiana. Si tratta del quartier generale del contingente tricolore a Shama, responsabile del settore Ovest di Unifil. Otto razzi da 107 millimetri hanno colpito il magazzino e alcune aree all’aperto. Non era presente nessuno, si registrano solo cinque militari sotto osservazione in infermeria. Pochi giorni prima, il 15 novembre, una granata calibro 155 aveva colpito la palestra della base senza esplodere. Gli artificieri avevano fatto brillare l’ordigno in sicurezza.

Secondo fonti locali, sentite da Adnkronos, i razzi apparterrebbero alle dotazioni di Hezbollah. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha detto che le basi di Unifil «non solo rappresentano la missione Onu internazionale ma sono anche di Paesi amici di Israele». «Non possiamo più tollerare – ha dichiarato – che questi errori si ripetano con questa frequenza».

Una quindicina di chilometri a sud-est, nel villaggio di Ramyeh, è stata colpita un’altra base della missione Unifil. Qui ci sarebbero diversi feriti e danni alle strutture. Su X l’esercito israeliano denuncia che si è trattato di un razzo lanciato da Hezbollah dall’area di Deir Aames, nel corso di un bombardamento diretto sull’Alta Galilea.

Sempre nel Libano meridionale, l’esercito israeliano avrebbe ucciso il comandante dell’unità missilistica a medio raggio di Hezbollah, Ali Tawfiq Dweiq, in un raid sul villaggio di Juz, vicino a Nabatieh. Da quando aveva assunto quel ruolo a settembre, dopo l’uccisione del suo predecessore, Dweiq sarebbe stato responsabile di oltre 300 lanci di razzi.

Sul fronte diplomatico, l’inviato speciale degli Stati Uniti Amos Hochstein è arrivato a Beirut «perché abbiamo una reale opportunità di porre fine al conflitto». «Sono qui per facilitare questa decisione – ha detto – ma in ultima analisi è una decisione delle parti». Dopo un colloquio «molto costruttivo» con il presidente del Parlamento Nabih Berri, ha incontrato il primo ministro Najib Mikati, che gli ha espresso «la preoccupazione che gli sfollati ritornino rapidamente ai loro villaggi e città e che si fermi la distruzione», ribadendo che «la priorità è attuare chiare decisioni internazionali e rafforzare l’autorità dell'esercito nel sud del Libano». Dopo la tappa a Beirut, Hochstein dovrebbe arrivare oggi in Israele. Ma sulla missione mediorientale dell’inviato americano regna la massima incertezza. La partenza per Beirut, l’altra sera, era stata data per rinviata all’ultimo momento.

È stato invece annunciato e rinviato davvero, a data da destinarsi, il discorso televisivo del nuovo leader di Hezbollah, Naim Qassem. Il valzer degli annunci si è consumato nel giro di un’ora. Segno che qualcosa si sta muovendo a Beirut. Ma anche che non tutti i tasselli della bozza di accordo per un cessate il fuoco sono andati a posto. Il discorso di Qassem era stato annunciato pochi minuti dopo le parole di Hochstein sulla «reale opportunità» di concludere. Ora la palla passa nel campo di Israele.

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