martedì 22 ottobre 2024
Il club di Paesi che ha ampliato il gruppo originario costituito da Brasile, Russia, India e Cina vuole dimostrare che l’attuale infrastruttura istituzionale non ha portato pace e ricchezza per tutti
Il presidente russo Vladimir Putin accoglie il presidente cinese Xi Jinping durante la cerimonia di benvenuto al vertice Brics 2024 in corso a Kazan, in Russia

Il presidente russo Vladimir Putin accoglie il presidente cinese Xi Jinping durante la cerimonia di benvenuto al vertice Brics 2024 in corso a Kazan, in Russia - Maxim Shipenkov

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In un tempo di ritorno ai blocchi contrapposti, c’è un mondo visto da Kazan, capitale del Tatarstan russo, e uno visto da Washington, un mondo in cui c’è chi cerca il consolidamento di una nuova statura economico-politica e un altro che prova a far contare potere ed esperienza, pur tra gli scricchiolii delle sue strutture. Brics da un lato, Fmi e Banca mondiale dall’altro, a migliaia di chilometri di distanza hanno aperto ieri le loro riunioni annuali, a due settimane dalle cruciali elezioni Usa e in uno scenario globale che va sempre più frammentandosi in pezzi di pianeta in competizione tra loro.

Conta la rivalità geopolitica tra Est e Ovest, conta una crescente alienazione reciproca tra Nord e Sud globale. Alleanze economiche che diventano sempre più politiche, contatti politici che trascendono sempre più nella finanza e nella cooperazione: cos’è politica e cos’è economia, quando l’obiettivo è sempre più il potere di attrazione sugli altri?

Con un Consiglio di sicurezza Onu bloccato dai veti reciproci, un G7 visto sempre più solo alla stregua di un club occidentale, Vladimir Putin punta a far compiere ai Brics riuniti a Kazan il salto di qualità. Non più, non solo un raggruppamento di economie emergenti – e che ormai rappresentano il 45% della popolazione e oltre un terzo della ricchezza globale - ma una calamita e un contrappeso sempre più forte e rappresentativo di un mondo geopolitico altro, antagonista dell'Occidente. Da questo punto di vista, l’allargamento a Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, con l’Arabia Saudita in “sala d’attesa”, già mostra la direzione, così come gli inviti ad un’altra decina di leader, compreso il presidente turco Erdogan, alla guida di un Paese Nato.

Del gruppo fa parte naturalmente fin dal principio anche la Cina, che nell’ultimo biennio non ha mancato di garantire a Mosca un certo sostegno sul dossier Ucraina. Per Putin, considerato in Occidente un criminale di guerra, il vertice di Kazan significa anche mostrare allo stesso Occidente di aver fallito nel suo tentativo di isolare la Russia dopo l’attacco delle sue truppe oltre confine. E allo stesso tempo, sottolineare non solo ai membri del G7, ma anche a chi cerca sponde diverse da quelle occidentali, che un altro mondo, il suo, è possibile.

Se poi una maggiore cooperazione economica e politica di un gruppo che vede al suo interno rivali come Cina e India, o Paesi dai rapporti complicati come Emirati Arabi e Iran, sia davvero possibile, è tutta un’altra storia. Quel che conta, qui e ora, è illuminare l’alternativa. Certificare che, come da più parti si fa notare, l’attuale infrastruttura istituzionale dominata dall’Occidente non ha portato pace e ricchezza per tutti.

Sfruttare un certo risentimento anti-occidentale favorirebbe peraltro la paralisi di quella cooperazione globale che è già in crisi. Come in crisi d’immagine, se non d’identità, appaiono da qualche tempo Fmi e Banca mondiale, le istituzioni nate a Bretton Woods di cui da più parti si invoca una riforma. Se cambia il contesto, si usa dire, è impensabile non cambino gli strumenti da utilizzare in quel contesto: non può non valere per l’architettura finanziaria globale.

Cambiamento climatico, crisi del debito, sicurezza alimentare sono solo alcuni dei temi che risuonano con insistenza nei meeting in corso a Washington, questioni che pesano molto anche sulle dinamiche geopolitiche di un mondo squassato da conflitti e rivalità. La lentezza con cui il sistema finanziario globale ha reagito alle nuove sfide, la necessità di partenariati con il Sud globale e uno sviluppo maggiormente guidato dal basso, l’obiettivo di accelerare la lotta alla povertà davanti a disuguaglianze crescenti: c’è anche questo, nei termini della dialettica con i Brics. Anche se, nascosto dagli slogan e dall’esibizione dei muscoli, non lo vediamo.

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