sabato 22 marzo 2025
L'organizzazione terrorista che controlla Gaza fa ancora presa sui cuori di 15-20mila persone pronte ad arruolarsi. Eppure è stato annientato nella sua capacità bellica, secondo Israele
Guerriglieri di Hamas durante una delle recenti macabre scene di riconsegna delle bare degli ostaggi israeliani uccisi

Guerriglieri di Hamas durante una delle recenti macabre scene di riconsegna delle bare degli ostaggi israeliani uccisi - Ansa

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Sono tornati i cingolati e le bombe d’aereo. Echi di guerra risuonano nuovamente nel nord di Gaza. Si sfollano i civili, i dannati delle guerre post-moderne, le più combattute nelle città. Cinturano il corridoio di Filadelfia i militari israeliani, in un dejà vu duro a tramontare. Posti di blocco blindano Rafah e la linea mediana della Striscia: c’è ancora da lavorare per la pax israeliana, mentre si vocifera di piani di occupazione parziale, zone cuscinetto e prospettive di neo-escalation. Dov’è il piano politico post-bellico per Gaza, di matrice israeliana? Dove sono le forze di polizia neutrali, indispensabili al periodo di transizione? E dove sono la sicurezza degli aiuti e l’agibilità delle infrastrutture? In questo anno e mezzo di guerra, inframezzato da due tregue sporadiche, abbiamo visto il trionfo della pianificazione e del “targeting informatico”, garanzia di speditezza, tempismo sugli obiettivi e lutti immancabili. Che valore hanno nella guerra cittadina le munizioni intelligenti e i raid chirurgici che mai azzerano raggio di scoppio, errore circolare probabile e ‘danni collaterali’? Hamas (soprav)vive di affollamenti e scudi umani, che forzano la mano a decisioni israeliane di vita e di morte, spesso innocenti. È stato così anche nella reazione all’affronto del 7 ottobre 2023 e al panregionalismo del vecchio asse della resistenza. La primavera del 2025 ci racconta di più vittorie tattiche ebraiche, inanellate in un Medio Oriente in parte ridisegnato dalla logica delle armi, strategicamente in fieri, ma lungi dal garantire a Tel Aviv la cogenza della dottrina che ispira la sua politica militare dal 1948. Gaza in rovine e precipitata di nuovo nella spirale delle operazioni è la riprova che nei combattimenti urbani, casa per casa, tunnel per tunnel, a fare premio sono il tempo, la perseveranza, la massa di uomini disponibili, la lentezza chiesta dalle operazioni di controguerriglia, le fatiche delle bonifiche urbane e il rispetto dei principi essenzialmente politici della contro-insurrezione, guerra complessa, poli-fattoriale e avulsa dal modus agendi del governo israeliano. Le stime di alcuni pensatoi e dell’ex segretario di Stato americano, Anthony Blinken, confliggono con i peana di alcuni generali di Tsahal: le prime parlano di un Hamas sopravvissuto al pugno di ferro ebraico, ancora centripeto nel reclutare nuovi adepti che, pur militarmente imberbi, testimoniano di una presa dei terroristi sui cuori e sulle menti di almeno 15-20.000 gazawi, pronti a imbracciare Kalashnikov e razzi a carica cava, con spirito di vendetta. Per il quotidiano New York Times, Gaza sarebbe ancora in grado di produrre un minimo di razzi a corta gittata, grazie ad atelier muniti di torni e macchine utensili, alimentati da ordigni israeliani inesplosi. I vertici di Tsahal dicono invece di un Hamas annientato nella componente bellica, privo oggi dei suoi punti di forza d’antan: dei tecnoguerriglieri e dei comandanti esperti, dei battaglioni e delle divisioni, della dimensione sotterranea e dell’infrastruttura produttiva, endogena ed esogena. I novemila e passa ordigni lanciati da Hamas fra le prime fasi della guerra e il 2024 stridono di fronte a tempistiche e volumi della sua reazione odierna: tre razzi appena, sparati tre giorni dopo i primi raid israeliani. Hamas non sarà più una minaccia militare credibile, ma ha ancora forza ideologica e impatto politico-sociale, frutto del cortocircuito fra le misure draconiane adottate da Israele e le esigenze calpestate di sicurezza, ricostruzione e transizione a un’alternativa locale, legittima per i gazawi e la comunità internazionale.

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