Un sequestro di decine di chilogrammi di Captagon nel porto di Beirut. Il Libano rimane tra le principali vie utilizzate dai trafficanti per far giungere la droga in Occidente - Ansa/Epa
Sulle ceneri della Siria, distrutta da oltre dieci anni di guerra, sta crescendo l’ultimo narco-Stato del mondo. L’allarme arrivato dal New York Times che, grazie a decine di interviste, ha fatto luce su un traffico multimiliardario che oltrepassa ormai i confini del Paese mediorientale non ha che arricchire di particolari quanto ormai era evidente da tempo.
Il prodotto di punta è il Captagon, chiamato localmente Abu Hilalain «quello con due mezzelune», in riferimento alle due “C” contrapposte incise sulle pillole. Il Captagon, un’anfetamina originariamente usata per curare il deficit di attenzione e la narcolessia, assiste a un boom di consumo tra i giovani delle petrolmonarchie del Golfo, con 250 milioni di pillole sequestrate solo nel 2021: 18 volte più di 4 anni fa.
La pasticca costa sui 22 euro ma una sola «basta per ballare tutto il fine settimana», come racconta al quotidiano statunitense un partecipante a un rave clandestino organizzato a Riad. Le autorità saudite accusano il Libano (e in maniera implicita Hezbollah) di fungere da punto di transito alle esportazioni illegali e hanno perciò sospeso, lo scorso aprile, tutte le importazioni di frutta e verdura provenienti dal Libano in seguito al sequestro di oltre 5 milioni di pillole dissimulate all’interno di melograni.
La fantasia dei trafficanti si è, infatti, sbizzarrita nel cercare sempre nuovi nascondigli. Nei giorni scorsi, i doganieri di Dubai e Beirut hanno sequestrato due maxi-carichi di Captagon nascosti rispettivamente all’interno di finti limoni e arance, mentre quelli siriani bloccavano mezza tonnellata di pasticche dissimulate in pacchetti di spaghetti e finte torte.
Secondo il Centre for Operational Analysis and Research, i sequestri di Captagon avvenuti nel 2020 ammontavano a 3 miliardi di euro, trenta volte l’introito ricavato dalla prima esportazione lecita della Siria, l’olio d’oliva.
L’Occidente è ormai invaso dalle pasticche. L’«affare», spiega ancora la testata americana, sarebbe gestito dal generale Maher al-Assad, fratello più giovane del presidente Bashar e comandante della Quarta Divisione corazzata, che ne sovrintende la produzione a Tartous e Homs e la distribuzione attraverso il porto di Lattakia. Nel traffico sono coinvolti anche uomini d’affari vicini al governo di Assad e colpiti dalla sanzioni Usa, come Amer Khiti e Khodr Taher bin Ali, entrambi arricchitisi notevolmente durante la guerra.
La Siria non è nuova al traffico di droga. Negli anni Novanta, la valle libanese della Beqaa, sotto controllo siriano, era il principale produttore di hashish nella regione. Ma è soprattutto a partire dal 2011, con l’esplosione della guerra civile, che il Paese si è lanciato nella produzione massiccia di stupefacenti, anche per risollevare un’economia in caduta libera come ora. I siriani ci trovavano, e ora ancor di più con la crisi economica ci trovano, un terreno particolarmente fertile: non solo materie prime facilmente reperibili e uno sbocco sulle rotte mediterranee verso l’Europa, ma anche una comoda situazione di caos. Il traffico non ha risparmiato l’Italia.
Nel luglio 2020 «il più grande sequestro di anfetamine a livello mondiale» è stato intercettato al porto di Salerno proveniente dalla Siria. La merce – ben 14 tonnellate (84 milioni di pastiglie) del valore di un miliardo di euro – è stata scoperta in tre container di cilindri di carta per uso industriale. Gli inquirenti avevano evocato anche un ruolo del Daesh, cui si sarebbero rivolte mafie locali trovatesi a corto di droghe tradizionali a causa del lockdown.