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Nella Holding room del complesso di Ifema una grande replica de “El abrazo”, il quadro di Juan Genovés, che rivendicava la amnistia ai prigionieri della dittatura durante la Transizione, presiederà gli incontri fra i capi di stato e di governo. Qui la Nato metterà in scena la sua transizione verso «il nuovo ordine mondiale del XXI secolo», dopo la «provocazione della Russia», che «ha demolito quello vigente dopo la Seconda guerra mondiale, come ha rilevato Joe Biden. Una «svolta storica» nella difesa e deterrenza, con l’alleanza ampliata a due Paesi storicamente neutrali come Svezia e Finlandia, dopo che la Turchia ha sollevato il veto e che ieri l’ha fatto cadere. La road map del prossimo decennio ha per fulcro l’Ucraina, come laboratorio dei futuri scenari. Identifica la Russia come la «minaccia principale e imminente», come ai tempi della Guerra fredda.
Ma con un’enfasi inedita sul vincolo militare euro-atlantico, un ampliamento del terreno d’azione verso l’indopacifico – il cuore degli interessi di Washington e degli alleati nell’area, a cominciare dal Giappone – e la chiamata in causa, per la prima volta, della Cina. «Sarà un vertice cruciale che segnerà un cambiamento epocale. Accorderemo un nuovo Strategic Concept, il piano d’azione dell’alleanza, per far fronte a un mondo più pericoloso e imprevedibile», aveva annunciato il segretario generale Jens Stoltenberg, nella dichiarazione congiunta con l’anfitrione Pedro Sánchez, dando il via al summit di Madrid. L’offensiva brutale di Mosca non solo sul Donbass, anche per conquistare Kiev, chiudere lo sbocco a Odessa sul Mar Nero e rimuovere Zelenzky, ha avuto l’effetto di un elettroshock sugli alleati. Nessuno discute più l’aumento in spese militari al 2% del Pil, obiettivo della Nato, i distinguo sono sul quanto e come, con le fughe in avanti della Gran Bretagna di Boris Johnson decisa ad aumentale la spesa al 2,5% entro il 2028, al di sopra del 2% richiesto dalla Nato.
Anche il presidente ucraino, Zelensky, oggi sarà in collegamento da remoto. Spera di chiudere la guerra entro l’anno, e reclama l’invio di batterie anti-missile. Stoltenberg ha anticipato che ci sarà un accordo su «un pacchetto di aiuti completo», ma anche «più forze dispiegate a est e risorse per la difesa». E ha potuto portare a casa i «progressi» auspicati nel dossier di adesione di Svezia e Finlandia. E lanciare così il «messaggio di unità delle democrazie nella difesa dei valori di libertà, del pluralismo politico, del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale basato sulle regole, ovvero la carta dell’Onu», segnalato da Sánchez.Sulla «storica candidatura» dei due Paesi nordici si sono susseguiti tutto il giorno i contatti. Il presidente statunitense Joe Biden è impegnato personalmente a sbloccare il negoziato dalle secche. la trattativa nella lunga riunione di Stoltenberg con Erdogan e gli omologhi finlandese Niisto e svedese Andersson ha avvicinato le posizioni. I tre hanno firmato un memorandum di impegni, che sarà presentato oggi: conterrà un riferimento chiaro ai curdi «terroristi» e – secondo i media di Ankara – anche promesse di estradizioni.
Prima di volare a Madrid, in una telefonata con Biden, Erdogan aveva avvertito che non si sarebbe accontentato di «parole vuote», ma pretendeva «risultati concreti». Sapeva di avere nelle sue mani la chiave della decisione finale ed era determinato a sfruttarla fino in fondo. Non solo le condizioni imposte a Svezia e Finlandia di un cambio legislativo per perseguire il Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, che Ankara considera terrorista. E che sarebbe esteso a una condanna globale di tutte le azioni terroriste, per includere le milizie curde siriane e Fetullah Gülen, il nemico giurato di Erdogan. Il “reis” ha avuto conferma dalla Casa Bianca di un incontro bilaterale con Biden, a margine del vertice, per discutere dell’altro “stallo”, la vera posta in gioco per Ankara: le nuove consegne di F-16, legate alla passata decisione turca di dotarsi di batterie missilistiche russe S-400. Dall’invasione di Ucraina, gli Stati Uniti hanno già portato da 70mila a 100mila militari la presenza in Europa. E Stoltenberg aveva già annunciato lo schieramento a Est di 300mila unità degli alleati Nato per le forze di intervento rapido, in un nuovo modulo all’insegna della flessibilità. Anche se i Paesi Baltici e quelli più vicini ai confini russi reclamano comandi permanenti nei loro territori. Dopo il bilaterale alla Moncloa con Sánchez, Biden ha confermato il maggiore impegno: «Stiamo agevolando il flusso di armamenti ed equipaggiamento per l’Ucraina. Continueremo a fornirla di tutto ciò di cui ha bisogno per difendersi e continueremo a premere sulla Russia con più sanzioni». Una risposta chiara al ministro degli Esteri russo, Sergeij Lavrov, che aveva ammonito: «Più i Paesi occidentali inviano armi all’Ucraina, più lungo sarà in conflitto». Biden ha reiterato anche l’intenzione di Washington di voler aumentare la presenza da quattro a sei navi – i cacciatorpedizioneri di classe Arleigh Burke–- nella base navale di Rota, a Cadice, portando da 1.200 a 1.600 il numero di militari. Sánchez ha insistito sulla «strategia a 360 gradi della Nato», che comprende «anche l’attenzione sul fianco Sud, dunque il Mediterraneo e il Sahel, sul quale dobbiamo concentrarci nei prossimi mesi e anni».
Di fonte all’espansionismo russo, la sfida jihadista, i rischi per le riserve energetiche e le crisi migratorie alla frontiera Sud – con l’ultimo mortale respingimento di migranti a Melilla – il premier iberico punta a tenere dentro lo Strategic Concept il fianco Sud. Quanto alla Cina, comparirà come “competitore” e a fronte delle «sfide globali», per evitare che, dopo le resistenze a condannare l’invasione in Ucraina, si possa saldare l’alleanza Pechino-Mosca.
Lo stesso Stoltenberg ha ricordato la necessità di collaborare con Pechino nella lotta al cambiamento climatico e di non rompere le relazioni commerciali «che hanno portato prosperità e la porteranno in futuro».