Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi in un manifesto elettorale del 2014 - Ansa
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi rafforza ancora i propri poteri, sfruttando al meglio lo scenario emergenziale creato dalla pandemia. L’ultimo puntello al suo controllo sulla vita politica del Paese è rappresentato da una legge, approvata il 6 luglio, che obbliga i militari a chiedere l’autorizzazione del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf) – presieduto dallo stesso raìs – prima di entrare in politica. Il precedente regolamento, invece, poneva come indispensabile l’abbandono della carriera militare, a meno che l’aspirante candidato non fosse già in pensione.
Con questo nuovo “accorgimento”, al-Sisi pone un argine allo slancio politico dei suoi ex commilitoni, di cui teme la concorrenza alle future elezioni presidenziali, fra due anni. Si ricorderà che nel 2018 gli avversari più temibili per l’uomo forte del Cairo furono proprio dei generali: fra di loro, Sami Anan, incarcerato, subito dopo l’annuncio della propria candidatura, per presunte irregolarità nella raccolta delle firme e liberato il 22 dicembre 2019 “per motivi di salute”, ma con l’onta di una condanna a 9 anni di reclusione. Anan, già membro dello Scaf fino al licenziamento da parte del presidente Mohammed Morsi, godeva di credito presso i vertici militari egiziani. Troppo per il presidente in carica Sisi e per il blocco di potere da lui rappresentato.
La modifica adottata questa settimana ne segue altre significative, tutte estratte dal cilindro del totalitarismo nell’ultimo anno e mezzo. Con una riforma costituzionale approvata mediante referendum nell’aprile del 2019, il presidente Sisi si è assicurato la possibilità di candidarsi ad altri due mandati, ciascuno di sei anni: nel 2022 e nel 2028. All’inizio del mese di maggio di quest’anno, inoltre, altri emendamenti alla legge sullo stato di emergenza hanno ricevuto il via libera del Parlamento: si tratta di nuove prerogative presidenziali per la chiusura delle scuole, la sospensione dei servizi pubblici, il divieto di assembramenti pubblici e privati, la messa in quarantena dei viaggiatori, il blocco di centri medici privati, la requisizione o limitazione del commercio di alcuni prodotti. Tutto in nome della lotta al virus, che finora ha fatto 3.422 vittime, e ai terroristi che potrebbero destabilizzare il Paese.
Intanto, fin dalle prime settimane di epidemia, l’esercito ha pagato il proprio pegno al Covid-19 con la morte di due generali stellati vicini al presidente: Shafie Dawoud e Khaled Shaltout, responsabili, rispettivamente, dei grandi progetti infrastrutturali voluti dal capo dello Stato e del dipartimento dell’acqua – altro dossier strategico – sempre nell’Autorità ingegneristica militare.