Attacchi israeliani nel Sud del Libano - Ansa
Taceranno le armi. Da questa mattina e per sessanta giorni cadrà solo l’inverno sopra il Libano e sul confine settentrionale di Israele. Niente più bombe. Due mesi per non ricominciare una guerra e per minacciarne altre. Nell’attesa di Trump e dei suoi imperscrutabili piani.
La diplomazia stavolta non ha dovuto cestinare le bozze degli accordi. Il gabinetto di guerra di Tel Aviv ha dato l’ok nella serata, quando anche da Beirut era giunto il via libera. Ma non è ancora tempo di chiudere il mattatoio Gaza. Washington e Parigi si intestano il successo negoziale. Il primo dopo il massacro del 7 ottobre ad opera di Hamas e dopo la reazione di Israele. Il patto arriva a meno di una settimana dall’emissione del mandato di cattura internazionale per Netanyahu. «Con una comprensione totale tra Israele e gli Stati Uniti, manteniamo la libertà militare completa», ha detto il premier israeliano nel discorso serale alla nazione. Quanto davvero durerà il cessate il fuoco in Libano «dipende da cosa succederà sul terreno: se Hezbollah si riarmerà, noi attaccheremo», ha promesso avvertendo che «Hezbollah non è più quello di prima, lo abbiamo riportato indietro di decenni».
Dalla Casa Bianca Joe Biden si è preso la scena prima del sipario sulla sua presidenza. «Ho parlato con il premier di Israele e con quello del Libano e posso annunciare la tregua», ha detto. «A Hezbollah o quel che resta non sarà consentito di minacciare più la sicurezza di Israele». Poi precisato che: «Non ci saranno truppe americane nel sud del Libano», sebbene non è esclusa la presenza di “osservatori” Usa. «Anche a Gaza serve una tregua urgente, la popolazione civile sta vivendo un inferno», ha dichiarato sottolineando che «l'unica via verso il cessate il fuoco è la liberazione degli ostaggi» nelle mani di Hamas.
L'accordo prevede che le truppe israeliane si ritirino gradualmente dal Libano meridionale e che l'esercito regolare libanese si schieri nella regione roccaforte di Hezbollah entro 60 giorni. L’organizzazione armata dal proprio canto si impegna a porre fine alla sua presenza lungo il confine a sud del fiume Litani. Il governo di Beirut è pronto a schierare almeno cinquemila uomini dal momento del ritiro delle truppe israeliane. Nelle pieghe dell’intesa è però stabilito un meccanismo che, senza dichiararlo, ammette il tentativo di esautorare Unifil, la missione internazionale Onu. Gli Stati Uniti, infatti, potrebbero svolgere un ruolo di “osservazione”, che fino ad ora era affidato ai caschi blu. Il ministro della Difesa di Tel Aviv, Israel Katz, ha ribadito che intende applicare la «tolleranza zero» verso qualsiasi violazione del cessate il fuoco. L’accordo prevede infatti che Israele possa mantenere libertà operativa per rimuovere le minacce di Hezbollah e consentire ai residenti sfollati di tornare in sicurezza alle loro case nel nord. Hezbollah però non se ne andrà del tutto e annuncia che resterà in altre forme per «aiutare i libanesi sfollati a tornare nei loro villaggi e a ricostruire le aree distrutte».
Prima della pace ci sono le intese e prima delle intese ci sono regole non scritte, che nessuna guerra riesce a strappare. «Svuotare i caricatori» è l’ordine che precede il tempo del cessate il fuoco. Colpire in fretta, senza pietà, regolando prima della tregua i conti in sospeso. Domenica scorsa, nel pieno del negoziato, Hezbollah con i suoi emissari confermava la disponibilità a fermare le armi. Intanto scaricava su Israele una raffica di 250 razzi, impossibili da contrastare anche per “Iron Dome”, la contraerea che poco può fare quando gli ordigni piombano simultaneamente da ogni direzione. Ieri è stato il turno di Israele, che ha scatenato decine di attacchi furiosi contro il Libano, arrivando a colpire 20 obiettivi in 120 secondi. Gli aerei da guerra hanno bersagliato i sobborghi meridionali di Beirut con un'ondata di attacchi, poco prima che il gabinetto israeliano si riunisse per discutere la cessazione delle ostilità.
Secondo dati del ministero della Sanità libanese, che non distingue tra civili e combattenti, nell'ultimo anno più di 3.750 persone sono state uccise in Libano e oltre un milione stanno subendo gli effetti diretti del conflitto, abbandonando le loro case verso ripari improvvisati in altre regioni. Una tregua potrebbe riportare gli sfollati nel sud, anche se molti sanno di non trovare altro che macerie. Sul lato israeliano il cessate il fuoco aprirebbe la strada del ritorno a 60.000 persone evacuate dal nord di Israele dopo gli attacchi a distanza di Hezbollah a sostegno del suo alleato palestinese Hamas.
Le incursioni armate non hanno risparmiato neanche le chiese. Alcuni soldati israeliani hanno pubblicato un video nel quale si riprendono mentre imitano e deridono una cerimonia nuziale cristiana in una chiesa nel villaggio di Deir Mimas, nel sud del Libano, come ha riportato “Haaretz”. Un portavoce dell'Esercito israeliano (Idf) ha definito la profanazione «un atto grave» su cui è stata aperta una inchiesta interna.
«Ora dicono ci sia il cessate il fuoco in Libano ma non significa che ci sarà la pace, la pace è ben altra cosa, a Gaza le cose sicuramente continueranno, Dio solo sa come», ha commentato il cardinale Pierbattista Pizzaballa. «La pace - ha aggiunto il patriarca latino di Gerusalemme - si fa con relazioni pacifiche tra i popoli, non le vedremo presto, però bisogna prepararle, si devono ricostruire non solo le strutture fisiche ma le relazioni distrutte da questa guerra».
Una fonte diplomatica israeliana ammette che «avere innescato un meccanismo negoziale può consentire la riapertura dei colloqui indiretti con Hamas, attraverso i negoziatori di Egitto e Qatar sotto la spinta americana». Nei prossimi giorni gli Stati Uniti «lanceranno una nuova iniziativa insieme a Turchia, Egitto, Qatar, Israele e altri Paesi per raggiungere il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas», aveva annunciato Biden. Ma è il non detto a indicare lo stato delle cose. Netanyahu ha riconosciuto che l’esercito israeliano ha bisogno di riprendere fiato e riorganizzarsi. Anche Hezbollah, decimata nei vertici e nelle prime linee, deve ricostruire l’intera filiera combattente. «Un cessate il fuoco in Libano conviene a tutti - osserva una fonte da Beirut vicina ai negoziati -, e tutti per il momento devono sacrificare qualcosa e qualcuno». Un nome? «Gaza».