È morto il dodicenne britannico Archie Battersbee dopo l'interruzione del supporto vitale. Lo rende noto la madre del ragazzo. A Londra, al Royal London Hospital, era previsto che i medici staccassero alle 11 ora italiana i macchinari che lo hanno tenuto in vita per mesi.
Il 12enne è in coma dallo scorso aprile quando è stato trovato esanime, con un cappio al collo, nella sua casa nell'Essex, vittima di una sfida on-line finita male. La madre, Hollie Dance, che insieme a tutta la famiglia ha ingaggiato un dolorosa battaglia legale perché non venisse staccata la spina, ha detto di aver fatto "tutto il possibile". "Ho fatto tutto ciò che avevo promesso al mio bambino che avrei fatto".
Dopo diversi ricorsi presso i tribunali britannici e l'intervento della Corte europea dei diritti dell'uomo, la famiglia ha tentato nei giorni scorsi senza successo di permettere che Archie fosse portato dall'ospedale in un hospice affinché potesse morire in una situazione serena, con la sua famiglia, lontano dal rumore dei macchinari del Royal London. "Sentirò per sempre quel bip", ha detto la madre.
Il vescovo John Sherrington, ausiliare della diocesi di Westminster e responsabile per le questioni della vita per la Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles, stamani ha dichiarato: "Dal momento in cui viene sospeso il suo sostegno vitale", ogni passo deve essere compiuto riconoscendo "la dignità intrinseca di persona creata a immagine e somiglianza di Dio". È importante assicurare "un processo di accompagnamento compassionevole di Archie e dei suoi genitori in questo momento in cui si dicono addio".
"Assicuro ai genitori e alla famiglia di Archie Battersbee - ha aggiungo -, così come a tutti coloro che si prendono cura di lui e a tutti coloro che sono preoccupati per il suo bene, delle mie preghiere in questo momento doloroso". "Gli argomenti recentemente combattuti nei tribunali sul trattamento e l'assistenza in corso di Archie - osserva il vescovo, citato dal Sir - evidenziano ancora una volta la necessità di trovare modi migliori di mediazione attraverso i quali genitori e operatori sanitari possano raggiungere accordi comuni ed evitare complessi procedimenti legali. Sebbene la Chiesa cattolica riconosca che ci sono situazioni in cui le cure mediche per sostenere la vita non sono più obbligatorie se non c'è speranza di guarigione, dovrebbero essere fornite cure e trattamenti ordinari adeguati alle condizioni del paziente".