«Emergenza Kurdistan», atto secondo. Un anno dopo la terribile fuga di massa dalla Piana di Ninive nell’estate del 2014, il progetto di Focsiv e
Avvenire ad Erbil, ha nuovamente raccolto l’attenzione e il sostegno dei lettori: in 15 mesi sono stati raccolti 508.840 euro.
Gianfranco Cattai, presidente Focsiv, partiamo come ovvio dal dato economico. Da novembre a gennaio sono stati raccolti 135mila euro, con oltre 500 donazioni, in media di 250 euro. Più della metà sono lettori che avevano già aderito alla campagna del 2014 che raccolse in quello stesso periodo oltre 200mila euro. Come giudica questi dati? Molto positivamente. Si deve tener conto che in un anno si sono aperte anche altre emergenza e ovviamente dare continuità è una fatica. La risposta, la relazione con chi ha accettato la proposta «non lasciamoli soli», è sicuramente molto positiva.
L’idea di base, di fronte a un’emergenza di dimensioni inaudite, era di rispondere non con un singolo progetto, ma facendo rete, creando sistema, a partire da una raccolta di fondi popolare. Come si è sviluppato in questi ultimi 15 mesi il “sistema Focsiv”? Si sono coinvolti nuovi soggetti come, ad esempio, l’Università Cattolica di Milano, il Csi e International Help che si sono affiancati ai partner con cui un anno fa siamo partiti. Stiamo lavorando perché altri soggetti, soci della Focsiv e non, possano fare un pezzo di lavoro in uno scenario sempre più complesso. I colloqui di Ginevra, su cui in molti nutrivamo speranze, sono stati rinviati ed è evidente che i potenti della terra, mentre non trovano l’accordo, ne approfittano per perseguire le loro logiche facendo pagare alla popolazione un altissimo prezzo in sofferenza. Quello che noi possiamo fare, per chi vive sempre profugo a Erbil, è di attrezzarci per dare dei segnali di prospettiva e si spera, in futuro, dei progetti permanenti.
C’è una volontà di solidarietà fattiva e concreta, mentre la politica è incapace, in Iraq e in Siria, di trovare una via d’uscita alla crisi. A volte sembra di voler fermare il mare con le mani: quale messaggio, da questa tenacia nel fare solidarietà? Un segnale di prospettiva ce l’hanno dato Sant’Egidio e la Comunità Giovanni XXIII aprendo delle corsie umanitarie attraverso cui, nei giorni scorsi, è giunta la prima famiglia dalla Siria a Roma. In prospettiva una ospitalità di un migliaio di persone, non molto rispetto alle esigenze. Ma questa soluzione, come Focsiv, ci sprona a metterci in rete rendendo merito a Sant’Egidio che è riuscita a sbloccare la situazione ottenendo i visti dal governo: una strada che è stata aperta e che anche noi potremmo potenziare. Questo per dire che ognuno di noi ha la consapevolezza di essere un lumino acceso in una notte buia e profonda, ma uno accanto all’altro si fa più luce. E la dove c’è volontà, i lumini possono moltiplicarsi. È chiaro che si può essere presi dallo sconforto, pensando ad esempio ai colloqui di Ginevra. Ma davanti alle difficoltà, di fronte a una società irachena che sta precipitando, ai curdi che da mesi non hanno più lo stipendio statale da Baghdad, non possiamo permetterci di cedere allo scoraggiamento. Anzi, questo deve darci la determinazione a fare gioco di squadra, a fare più rete in Italia.
Su cosa puntare, allora, per far crescere il progetto «Emergenza Kurdistan »? Bisogna creare delle micro-economie, dei posti di lavoro. Perché gli sfollati o tornano nella loro realtà, e noi li accompagneremo; o restano in Kurdistan, ma in una situazione che si va complicando; o decidono di migrare, e allora i corridoi umanitari sono la via preferenziale. Con l’ospedale del Bambin Gesù abbiamo un accordo per accogliere minori sfollati bisognosi di cure. Bisogna moltiplicare queste azioni e in Kurdistan, che rischia di precipitare tutto in una pesantissima crisi economica, lavorare per creare delle prospettive.