mercoledì 31 marzo 2021
Il conflitto e la pandemia hanno aggravato la condizione femminile: «Dobbiamo denunciare, e dare voce a chi non ce l'ha»
Bambini siriani vanno a scuola a Ghouta, un sobborgo di Damasco. Distrutta durante il conflitto, è stata ricostruita

Bambini siriani vanno a scuola a Ghouta, un sobborgo di Damasco. Distrutta durante il conflitto, è stata ricostruita - Ansa

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«La guerra in Siria non è solo dei siriani. Concludere la guerra e le sofferenze che continua a cagionare è una responsabilità comune di tutti noi». Lo ha detto segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres intervenuto ieri alla quinta Conferenza di Bruxelles per il futuro della Siria. Una ferita profonda, tutt’altro che sanata, che chiama in causa l’Europa. «Sono orgoglioso di annunciare che l’Ue riconferma il suo impegno con la Siria con lo stesso importo deciso l’anno scorso, quindi ci impegniamo per il 2022 un importo di 560 milioni di euro», ha fatto sapere l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell. Che ha ammesso che il conflitto in Siria è «lontano dall’essere risolto» e che «i negoziati a Ginevra sono in una fase di stallo. «Sono trascorsi – ha aggiunto Borrell – 10 anni dall’inizio del tremendo conflitto, più di 400mila persone sono morte, 100mila risultano disperse, ci sono 12 milioni di rifugiati e sfollati interni. Delle persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria, la metà sono bambini, un’intera generazione di siriani ha conosciuto solo la guerra».

La condizione femminile

A peggiorare è stata soprattutto la condizione femminile. Durante un panel sulla prevenzione della violenza di genere sulle donne siriane organizzato dall’Ong “Non c’è pace senza giustizia” le giornaliste siriane hanno sottolineato il loro compito non semplice: denunciare le violenze, scrivere, e far parlare con le proprie voci le vittime, le sopravvissute. Rendere pubbliche tutte le forme di violenza, non solo quelle fisiche e sessuali, ma anche quelle meno ovvie, perpetuate “a fin di bene”, come i matrimoni precoci e l’insegnamento dei mestieri prettamente femminili. «La lista delle violazioni è lunghissima e affonda le proprie radici in una cultura patriarcale, ben precedente il conflitto», spiega Hayma Alyoussuf, 32 anni, collaboratrice del Syrian female journalists network. La rete di reporter comprende giornaliste che lavorano per diverse testate indipendenti tra cui Syrian untold (Siria non raccontata), Rosana Radio, Radio al Balad (Radio nazionale) in Giordania.

Dopo dieci anni di guerra e una pandemia, per le donne è tutto più difficile. E questo proprio nel momento in cui, essendo rimaste sole, avevano iniziato un lento cammino di emancipazione in molti contesti sociali e familiari. È il caso delle reporter che si trovano in zone impervie della Siria come Daraa, Ghouta, Raqqa e Idlib difficilmente raggiungibili da media indipendenti. A peggiorare la condizione femminile, secondo i dati raccolti da “Non c’è pace senza giustizia”, ci ha pensato la pandemia, come dimostrano i numeri sull’abbandono scolastico, sulla disoccupazione e sui matrimoni precoci, aumentati drammaticamente. Secondo le autorità turche, il 45 per cento delle profughe siriane, residenti in Turchia, ha contratto matrimonio prima dei 18 anni, e il 9 % prima dei 15 anni. «Ma il matrimonio precoce non salva sempre da una vita di stenti e dalle umiliazioni – spiega Walaa Aloush, attivista per la parità di genere di Idlib –. Sono stata personalmente minacciata per aver difeso una ragazza di 16 anni, divorziata tre volte, e vittima di violenze che l’avevano resa sterile». Walaa ha spiegato che il contesto in cui opera è estremamente difficile, ma non per questo ha intenzione di smettere di educare i suoi concittadini al rispetto.
Di violazioni e umiliazioni tremende ha parlato anche Yasmina Benshi, direttrice della Ong “Freedom Jasmine” che difende le donne sopravvissute alla detenzione nelle carceri siriane. L’incubo infatti per le ex detenute non finisce una volta uscite di prigione, perché ad attenderle c’è il calvario dello stigma sociale. «Le persone presumono che tu sia stata violentata in prigione, e questo basta venire rifiutata dalla tua stessa famiglia», spiega Yasmina. Denunciare la violenza sessuale rimane un tabù fortemente radicato. Per le femministe convincere le donne a farlo è impossibile, l’unico campo d’azione resta quindi il sostegno e la riabilitazione, «Per questo sono importanti i programmi finanziati da Unione Europea e Nazioni Unite», ha ricordato Walaa.
Una nota positiva è stata sottolineata da Mona Zain Aldeen, portavoce di “Women Now for Devolpment”, che ha ricordato un importante passo avanti nella giurisdizione internazionale: «Il tribunale tedesco di Coblenza – ha detto – ha accolto la denuncia di un gruppo di richiedenti asilo siriane e riconosciuto la violenza sessuale subita in Siria non come semplice reato ma come crimine contro l’umanità». Ma lontano dalla Germania, in Siria e Paesi limitrofi, le cose sono diverse. Di lavoro di denuncia per le giornaliste siriane, conclude Hayma, ce ne sarà ancora per generazioni.

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