Ancora decine di morti, la Chiesa nel mirino, sofferenze indicibili per migliaia di sfollati. Non conosce pace la Repubblica Centrafricana, in preda a nuove atroci violenze che nelle ultime ore hanno funestato Alindao, nel sud, a meno di 100 chilometri dalla Repubblica democratica del Congo. Presso la Curia episcopale, secondo un primo bilancio che rischia di essere parziale, 42 persone sono rimaste uccise giovedì, fra cui almeno un sacerdote, nel corso di attacchi attribuiti alla fazione Upc (Unité pour la paix en Centrafrique) dei ribelli filoislamici ex Seleka agli ordini del generale Ali Darassa, di etnia peul. La strage sarebbe stata perpetrata per «replicare all’uccisione di un musulmano», mercoledì, da parte dei miliziani rivali anti-balaka.
Il sacerdote ucciso è padre Blaise Mada, vicario generale della diocesi. Si temeva ieri anche per padre Celestine Ngoumbango, rimasto ferito durante l’assalto e di cui si sono perse le tracce. I miliziani hanno preso di mira un centro di rifugiati diocesano con una capacità di oltre 25mila sfollati, non solo cristiani, ma anche musulmani, in nome di quella concordia civile che la Chiesa centrafricana continua strenuamente a promuovere, con rinnovato ardore dopo la visita di papa Francesco, che aveva inaugurato il Giubileo della Misericordia, il 29 novembre 2015, proprio presso la Cattedrale di Bangui, la capitale.
La strage, i saccheggi e i roghi di abitazioni sono stati confermati anche da padre Mathieu Bondobo, vicario generale per l’arcidiocesi di Bangui. Il vescovo di Alindao, monsignor Cyr-Nestor Yapaupa, aveva denunciato ai caschi blu della Minusca, schierati nel Paese, le minacce e il clima d’assedio attorno alla diocesi, ma la Curia non era difesa al momento dell’attacco, come padre Bondobo ha raccontato anche in collegamento telefonico con Tv2000: «I ribelli hanno avuto campo libero, possiamo dire, per fare tutto quello che volevano fare e hanno fatto».
Il sacerdote ucciso è stato descritto dal vicario generale come «un uomo mite, un uomo di preghiera e un uomo che amava la Chiesa, un uomo buono». Toccanti anche le parole del sacerdote sul clima dopo la tragedia: «Umanamente siamo tristi, ma spiritualmente siamo forti. Perché questo attacco non può far tacere la Chiesa. No, mai. La Chiesa non potrà mai tacere. La Chiesa ha questa forza di andare avanti. Nella persecuzione. È questa la storia della Chiesa. Quindi noi che siamo vivi, continuiamo questa missione per parlare della pace, condannare le violenze e chiedere a tutti di convertirsi». Le violenze seguono la tragica scia dei raid delle scorse settimane nel Nord, nell’area di Batangafo, non lontano dalla frontiera con il Ciad, che avevano provocato morti e circa 10mila sfollati. Su questo focolaio bellico, con raid presso almeno tre campi per sfollati interni che ospitavano migliaia di persone, ha appena testimoniato anche l’Ong umanitaria Medici senza frontiere (Msf), che ha visto affluire i feriti verso l’ospedale dove opera, proprio a Batangafo.
Nel Paese, su una popolazione di 4,5 milioni di persone, gli sfollati interni stimati sono circa 690mila, mentre sarebbero 570mila quelli rifugiati nei Paesi vicini. Aprendo tre anni fa la Porta Santa a Bangui, papa Francesco aveva scelto il dramma centrafricano come simbolo delle sofferenze di tutti i conflitti. Parole che acquistano nuovamente un’eco particolare: «Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra. Una terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferente ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attraverso la croce della guerra». Dall’inizio di quest’anno, tre altri preti erano stati uccisi nel Paese.