Cinque anni di carcere per chiunque festeggi il Natale nel Brunei. Il piccolo, e ricchissimo (di petrolio) sultanato del sud-est asiatico inasprisce così norme che già nel 2014 scatenarono numerose polemiche in tutto il mondo. Il sultano, Hassanal Bolkiah, spesso in testa alla classifica dei sovrani più ricchi del mondo, ha ribadito la sua linea dura, nel suo minuscolo territorio sull’isola del Borneo, di una rigida applicazione della sharia, la legge coranica, introdotta lo scorso anno e ora implementata dalla decisione di mandare in prigione chiunque festeggi una ricorrenza non islamica, in questo caso il Natale. Con il termine «festeggiare », scrive il quotidiano britannico
Daily Telegraph, si intende «ostentare» o «indossare simboli religiosi come croci, accendere candele, addobbare alberi di natale e cantare inni religiosi o mandare auguri, montare decorazioni»: in sintesi, tutto ciò che rappresenta il Natale. I non musulmani del Brunei possono «santificare il Natale, ma solo all’interno della loro comunità e dopo aver notificato alle autorità le loro intenzioni». La decisione segue quella del maggio 2014 quando, con l’introduzione della sharia nel Codice penale, applicata anche ai non cristiani, sono state stabilite pene come la lapidazione, la flagellazione e l’amputazione di mani e piedi, e a nulla è servita la mobilitazione internazionale che chiedeva il boicottaggio degli alberghi di lusso di cui il sultano è proprietario anche in Europa e in America. Nel 2013 un divieto simile arrivò dalla Somalia, che legiferò in tal senso per la prima volta dall’inizio della guerra civile nel 1991. Anche in Asia centrale proseguono le restrizioni ai danni delle minoranze cristiane, in particolare con l’avvicinarsi del Natale. Il Tagikistan ha messo al bando nelle scuole gli alberi di Natale e i biglietti di auguri. Il divieto ricorda quello dell’Uzbekistan del 2013, quando a finire fuori legge, in televisione, era stata la versione russa di Babbo Natale.