L'economista Yunus, Nobel per la pace nel 2006 - Ansa
Una «seconda liberazione» per il Bangladesh, l’ha definita il Nobel per la Pace Muhammad Yunus, a ricordare la guerra d’indipendenza dal Pakistan del 1971. E questa volta sarà lui a portarla avanti: l’esercito, che lunedì ha deposto la ex premier Sheikh Hasina, fuggita in India, ha accolto la richiesta del movimento di protesta studentesco e nominato il “banchiere dei poveri” Yunus consigliere per il governo di transizione. Di fatto, premier ad interim nei prossimi tre mesi, per traghettare il Paese al voto. Un successo degli studenti, che ieri ha fatto seguito allo scioglimento del Parlamento. Erano stati loro a dare la stura agli scontenti repressi, in un mese di proteste anche violente, e minacciavano di tornare in piazza se non fosse stato Yunus a guidare la transizione. Lui, da Parigi, si è detto «onorato»: «Se è necessario agire in Bangladesh, per il mio Paese e per il coraggio del mio popolo, lo farò».
All’indomani dei saccheggi al palazzo della ex premier e degli ennesimi scontri in cui sono rimaste uccise altre 122 persone (oltre 400 in un mese), la capitale Dacca si avvia alla normalità. Il traffico è ripreso, hanno riaperto scuole, negozi e fabbriche. Ma nel Paese musulmano è allarme tra le minoranze. La tensione maggiore è con gli induisti, pari all’8% dei 170 milioni di abitanti. Il Consiglio unitario di induisti, buddisti e cristiani ha denunciato, in due giorni, fra i 200 e i 300 atti vandalici contro case e negozi. Una ventina i templi induisti danneggiati. «Le atrocità sono scoppiate qualche ora prima che si dimettesse – ha detto alla Reuters il segretario generale Rana Dasgupta parlando della ex premier –. Anche se non ci sono state uccisioni, vediamo sfregi e saccheggi». «La situazione è terribile, siamo lasciati soli» conferma Manindra Kumar Nath, uno dei leader della comunità induista. I militari sostengono di essere impegnati a mantenere l’ordine. Gli studenti hanno sempre esortato a non colpire le minoranze. Ma nel vuoto istituzionale si sono scatenati odi e vendette. Fomentati dal fatto che si è rifugiata in India l’anziana leader che per decenni ha governato il Paese con il pugno di ferro, reprimendo gli oppositori e i gruppi estremisti islamici. Una politica, quella della figlia del liberatore del Bangladesh Sheikh Mujibur Rahman, apprezzata dal premier indiano Narendra Modi.
I diplomatici dell’Unione Europea presenti nel Paese si sono detti «molto preoccupati per le notizie di attacchi contro luoghi di culto e membri di minoranze» e hanno chiesto «urgentemente a tutte le parti di mostrare moderazione», salutando «gli sforzi compiuti dal movimento studentesco e da altri per proteggere le minoranze». Ora la nomina di Yunus fa sperare.
Dietro la rabbia nei confronti degli induisti c’è la tradizionale vicinanza di questa comunità al partito della ex premier, risalente ai tempi della guerra di liberazione che vide l’India combattere a fianco dell’allora Pakistan orientale, contro l’arcinemico Pakistan.
All’origine delle proteste studentesche che hanno portato al cambio di regime c’era stato il ripristino di una legge, già contestata in passato, che riservava alle famiglie dei reduci di quel conflitto un terzo dei posti di lavoro nel pubblico impiego. Discriminazione ritenuta inaccettabile dagli universitari, che devono fare i conti con un tasso di disoccupazione giovanile del 16% e che non beneficiano del rapido sviluppo economico dovuto sostanzialmente al lavoro operaio nelle fabbriche tessili.