Julian Assange, co-fondatore di WikiLeaks, fa scalo a Bangkok, in volo da Londra verso le Isole Marianne - ANSA
È finita. Dopo 14 anni di rivelazioni, processi, sentenze e polemiche, si conclude la saga giudiziaria che vede protagonista Julian Assange.
Il fondatore di WikiLeaks, 52 anni, detenuto fino a lunedì pomeriggio nel carcere di Belmarsh, in attesa di appello contro l’estradizione negli Stati Uniti, è stato liberato. Quando poco dopo la mezzanotte di martedì i social hanno cominciato a rilanciare le immagini della sua scarcerazione, il giornalista australiano, famoso per aver fatto conoscere al mondo gli abusi commessi dagli americani nelle guerre in Iraq e Afghanistan, era già in volo verso le Isole Marianne. Dove è atterrato nella serata di martedì. Il 52enne fondatore di Wikileaks è arrivato su un jet privato all'aeroporto di Saipan. Mercoledì ci sarà l'udienza dove, in virtù del patteggiamento, sarà condannato a 5 anni che ha già scontato in un carcere britannico, quindi Assange sarà libero e potrà partire per l'Australia il giorno stesso.
Insomma, è da qui che Assange ricomincia. Dopo un viaggio di quasi 24 ore, con breve scalo a Bangkok, l’uomo è atterrato, appunto, a Saipan, capitale del remoto Stato del Pacifico settentrionale, a sovranità americana, per affrontare l’ultima prova della sua odissea: ufficializzare dinanzi a un giudice federale il patteggiamento che ha reso possibile la chiusura del caso.
I dettagli dell’intesa raggiunta con l’Amministrazione del presidente Joe Biden sono contenuti nel documento, datato 19 giugno 2024, diffuso dall’Alta Corte di Londra, chiamata a recepire l’accordo per autorizzare, dopo 1.901 giorni di reclusione, la scarcerazione su cauzione del detenuto “speciale”. Il fondatore di WikiLeaks, in breve, ha accettato di dichiararsi colpevole di un solo capo di imputazione ovvero di cospirazione finalizzata a ottenere e divulgare informazioni sulla difesa nazionale. Quelli che pendevano sulla sua testa erano 18 e contemplavano, in totale, una condanna a 175 anni di reclusione in un carcere di massima sicurezza. Washington, da parte sua, ha acconsentito a chiudere la partita condannandolo a una pena detentiva di 62 mesi che, alla luce degli anni già trascorsi a Belmarsh, può essere considerata già scontata.
«Grazie, grazie, grazie». È questo il ritornello scelto dalla moglie del giornalista, Stella Moris, per amplificare la portata esplosiva dell’annuncio notturno: «Julian è libero!!!». «Le parole non possono esprimere la nostra immensa gratitudine a te, sì proprio a te, che ti sei mobilitato per anni e anni per rendere questo vero», ha scritto in un post dedicato a quanti, considerando Assange come un paladino della libertà di stampa nel mondo, hanno sostenuto la sua causa. Intervista dalla Bbc, Stella, a suo stesso dire tanto «euforica» quanto «incredula», ha raccontato che l’esito delle trattative è stato «incerto» fino all’ultimo.
Le negoziazioni hanno riguardato anche dettagli pratici, come il luogo della ratifica del patteggiamento (le Isole Marianne sono americane ma più vicine a Canberra che a Washington) e i costi del trasferimento: da Londra a Saipan e, da qui, in Australia. È a Sidney, infatti, che Assange, originario del Queensland, farà ritorno appena il patteggiamento verrà formalizzato. Stella è già lì che lo aspetta insieme a Gabiel, 7 anni, e Max, 5 anni, i figli nati dalla relazione risalente agli anni dell’esilio all’ambasciata londinese dell’Ecuador. Gli addetti ai lavori, tra cui l’attuale direttore di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, sottolineano che la svolta è arrivata anche grazie alle crescenti pressioni esercitate sulla Casa Bianca dal governo laburista di Canberra guidato da Anthony Albanese a cui, tra l’altro, il team di Assange deve restituire i 520mila dollari del jet privato VJT199 che lo ha portato dall’aeroporto londinese di Stansted a Saipan. Nei mesi scorsi, il presidente Biden aveva lasciato intendere che un accordo per la liberazione di Assange era possibile. Non è esclusa, oggi, anche l’eventuale concessione di una grazia.
Il leader dei democratici americani potrebbe usarla per intercettare il favore elettorale di quanti considerano Assange un “martire” laico del primo emendamento sulla libertà di parola e di stampa. È la linea che scelse anche Barack Obama quando nel 2017 commutò la pena, da 35 a sette anni di reclusione, a carico di Chelsea Manning, l’analista dell’esercito che aveva passato migliaia di documenti riservati proprio a WikiLeaks.
Che cosa farebbe, invece, il repubblicano Donald Trump? Fu sotto la sua Amministrazione, nel 2019, che il dipartimento di giustizia Usa incriminò il giornalista australiano ma molti ricordano che l’anno dopo, nel 2020, gli offrì segretamente la grazia purché scagionasse la Russia dai sospetti di aver partecipato alla divulgazione tramite Wikileaks delle e-mail hackerate al partito democratico nel 2016.
Tra i repubblicani rimbomba la voce, per il momento isolata, dell’ex vicepresidente Mike Pence che ha bollato la gestione del caso Assange da parte di Biden come «un errore giudiziario».