Asia Bibi con la sua biografa. Si tratta di una delle prime immagini della donna in Canada, dopo la scarcerazione e l'uscita dal Pakistan - copyright François Thomas
«A tutti coloro che sono accusati di blasfemia e ancora imprigionati». La dedica proviene dal volume Enfin Libre! (Finalmente libera), scritto a quattro mani da Asia Bibi con la giornalista televisiva francese Anne-Isabelle Tollet, che si è a lungo battuta a livello internazionale per la liberazione della cristiana pachistana, la cui storia ha commosso il mondo, divenendo un simbolo della condizione di esclusione e delle situazioni di persecuzione contro i cristiani in molti Paesi islamici. Oltralpe, l’uscita del volume è prevista sabato prossimo, per i tipi di Le Rocher.
In Italia, occorrerà attendere la traduzione in corso. Sono in preparazione anche numerose altre edizioni in varie lingue.
«Non ho molta memoria per le date, ma ci sono giorni che non si dimenticano. Come questo 14 giugno 2010. Prima del tramonto, sono arrivata per la prima volta al centro di detenzione di Shekhupura, dove ho passato tre anni prima di cambiare prigione, come si cambia domicilio. Non ero stata ancora giudicata, ma secondo tutti ero già colpevole. Mi ricordo di questa giornata come se fosse ieri e quando chiudo gli occhi, rivivo ogni istante».
In un estratto del primo capitolo fornito dall’editore (che ieri ha fornito anche la prima fotografia della donna in Canada, dove è arrivata l'8 maggio 2019 dopo la liberazione), la donna racconta le condizioni disumane subite in cella, evocando così il baratro in cui è precipitata: «I miei polsi bruciano, non riesco quasi a respirare. Il mio collo, che la mia figlia più piccola soleva stringere con le sue piccole braccia, è compresso in un collare di ferro che la guardia può stringere a piacimento con un enorme dado. Una lunga catena si trascina sul terreno sporco, collega la mia gola alla mano ammanettata della guardia che mi tira come un cane al guinzaglio. Nel profondo di me, una sorda paura mi attira nelle profondità dell’oscurità. Una paura assillante che non mi lascerà mai. In questo preciso momento, avrei voluto sfuggire alla durezza di questo mondo».
Sono tanti i dettagli agghiaccianti rivelati da Asia Bibi, che cita anche le frequenti vessazioni verbali da parte degli altri detenuti e delle guardie. «Impiccata», le urlano con astio persino diverse altre donne imprigionate. Un giorno, rivelandosi un aguzzino anche a parole, la sua guardia le lancia: «Sei peggio di un maiale. Dovrò sporcarmi al tuo contatto, sorbirmi il tuo marciume, ma non durerà a lungo, Allah akbar».
Eppure, il conforto della fede non ha abbandonato la perseguitata, che ricorda in questi termini la salda àncora calata in mezzo a un oceano di disperazione apparentemente senza vie d’uscita: «Accasciata al suolo terroso di questa cella senza speranza, fisso la porta pensando che questa prova è forse inviata da Dio».
La francese Anne-Isabelle Tollet aveva già associato il suo nome a quello di Asia Bibi nel precedente libro Blasfema. Condannata a morte per un sorso d’acqua, uscito in Italia per Mondadori.
Al sito d’informazione cattolico francese Aleteia, la coautrice ha raccontato le sue impressioni dopo l’incontro toccante in Canada con la madre di famiglia da poco liberata: «Asia Bibi è triste per aver lasciato il Pakistan, ma vuole continuare a fungere da portavoce per tutte le persone ingiustamente accusate di blasfemia, soprattutto i cristiani».
La giornalista ha voluto ricordare pure il ruolo svolto nel 2010 dall’allora ministro pachistano delle Minoranze, Shahbaz Bhatti, che facilitò il contatto fra la francese e la famiglia di Asia Bibi. Lo stesso Bhatti poi assassinato nel marzo 2011 dai fondamentalisti per aver difeso la donna.