«La nostra regione è nel mezzo di una gravissima siccità». È con queste parole che inizia il comunicato dell’Autorità inter-governativa per lo sviluppo (Igad), la comunità che include Paesi dell’Africa orientale e del Corno d’Africa. Una regione dove milioni dei suoi abitanti stanno soffrendo la fame e la sete. «Circa 24 milioni di civili potrebbero morire se non arriveranno gli aiuti entro le prossime settimane – continua l’appello dell’Igad –. I nostri dati stimano che almeno 11,2 milioni di queste persone versano ormai in gravissime condizioni». Le cause sono diverse. Innanzitutto, il cambiamento climatico. Fenomeni come La Niña e El Niño, legati ai cicli di variazione delle temperature dell’Oceano Indiano, hanno provocato l’anno scorso una forte scarsità di piogge: una mazzata per le coltivazioni e di cui si affrontano ora, anche dopo la fine dei fenomeni, le conseguenze.
«Le reazioni delle autorità di governo avvengono spesso in ritardo: i finanziamenti sono pochi e c’è scarsa volontà di adottare le misure appropriate», affermano invece all’unisono gli operatori di diverse agenzie umanitarie. Tale ritardo nell’intervenire provoca inoltre un aumento dei prezzi del cibo. Secondo l’Organizzazione Onu per l’alimentazione e dell’agricoltura (Fao), in Africa orientale ci sono attualmente «circa 17 milioni di persone» profondamente affetti dall’insicurezza alimentare. «Quasi tutto il territorio della Somalia non ha cibo e acqua sufficienti alla sua popolazione – conferma un recente rapporto Fao –. Ma la situazione è allarmante anche per gran parte del nord e del sud del Kenya, per il nord dell’Uganda, per zone estese dell’Etiopia e per diverse regioni del Sud Sudan».
Ma solo l’altro ieri il presidente keniano, Uhuru Kenyatta, ha dichiarato lo stato di siccità «un’emergenza nazionale», accogliendo le forti denunce arrivate anche dai vescovi della Conferenza episcopale del Kenya (Kccb): «Solo così potremo richiedere gli aiuti della comunità internazionale», aveva spiegato monsignor Philip Anyolo, presidente della Kccb. Anche in Sud Sudan, teatro di un conflitto civile dal 2013, la situazione è da tempo al limite: la gente muore mentre cerca di raggiungere zone più fertili al di là dei confini del Paese: «Due donne sono morte mentre tentavano di arrivare in Uganda – ha confermato ieri Louis Lobong, funzionario governativo nella regione meridionale di Kapoeta –. Migliaia di persone stanno andando verso la frontiera ugandese per scappare dall’insicurezza alimentare». Inoltre, a causa delle violenze, gli accessi degli operatori e dei convogli di aiuti sono ridotti al minimo e di conseguenza resta difficile ottenere cifre precise sulle vittime della siccità. Nella vicina Etiopia, invece, sebbene il governo sia stato in grado di dimezzare i civili a rischio rispetto all’anno scorso, i numeri forniti dalle autorità restano comunque molto alti: «Abbiamo circa 47 milioni di dollari per portare soccorso a 5,6 milioni di persone», analizza la Commissione etiope per la gestione del rischio e del disastro.
Mozambico, Zimbabwe e Sudafrica sono anch’essi duramente colpiti: «Non abbiamo mai visto una cosa simile – racconta ai media sudafricani il coltivatore Chris Harvey – milioni di persone lottano per sopravvivere. Potremmo non avere nulla da coltivare l’anno prossimo». Sul versante occidentale del continente, invece, l’Onu ha avvertito che il nord della Nigeria sta per avvicinarsi livelli di carestia «inimmaginabili» anche a causa dei jihadisti di Boko Haram: «Circa 120mila nigeriani sono in condizioni catastrofiche – sottolineano diverse agenzie delle Nazioni Unite –. Oltre 500mila persone rischiano di morire a causa dell’attuale declino della sicurezza alimentare nel nord-est del Paese». E la «situazione si aggraverà tra giugno e agosto».