Venditrici al mercato femminile di Kandahar - Ansa
Dopo i parchi e le palestre, ora le afghane sono state espulse anche dai ristoranti. Con due precisazioni da parte del ministero del Vizio e della virtù. Primo, riguarda solo i locali situati a Herat e provincia. Secondo, sono vietati alla clientela femminile, con o senza accompagnamento, gli esercizi con giardino annesso dove donne e uomini potrebbero passeggiare e incontrarsi. L’ordinanza è arrivata ieri dopo le rimostranze di vari studiosi religiosi e imam i quali hanno denunciato episodi di «mescolanze». È l’ultimo atto di una lunga serie che, negli ultimi venti mesi, ha cancellato, un pezzetto alla volta, le afghane dal tessuto civile della nazione. Escluse dall’istruzione post-elementare e dalla gran parte dei lavori, queste ultime sono ormai “imprigionate” di fatto in uno spazio domestico nel quale, comunque, non hanno diritti. Una situazione denunciata con forza dalla comunità internazionale. Alle critiche, però, il governo taleban sembra rispondere con un ulteriore giro di vite. Lo dimostra il braccio di ferro con l’Onu in atto nell’ultima settimana. Il 24 dicembre, l’Emirato aveva deciso di impedire alle organizzazioni nazionali e internazionali di impiegare personale femminile. Fin dall’inizio, però, le autorità avevano previsto due eccezioni: una per le realtà impegnate in ambito sanitario e l’altra per le dipendenti della Missione delle Nazioni Unite a Kabul (Unama). Esattamente una settimana fa hanno fatto marcia indietro, intimando alle dipendenti Onu di lasciare l’impiego. L’ordine è arrivato, come affermato dal ministero degli Esteri, direttamente dal leader, l’emiro Haibatullah Akhundzada. Ormai è evidente la spaccatura interna al movimento tra l’ala più radicale, guidata da quest’ultimo, e la componente pragmatica, rappresentata da Sirajjudin Haqqani. Uno scontro che sembra risolversi a favore dell’emiro. Forte della supremazia acquisita, Haibatullah Akhundzada ha alzato la posta, arrivando perfino a toccare l’Unama. La missione impiega circa quattrocento afghane, le quali hanno una funzione fondamentale nel garantire l’assistenza umanitaria alle altre donne. Difficilmente gli uomini, per divieto esplicito e tradizione, soprattutto nelle zone più remote, possono sostituirle. Da qui la forte reazione dell’Onu che ha deciso, come annunciato dal capo missione, Roza Otunbayeva, di «procedere a una revisione» delle attività. Di fatto le ha bloccate, lasciando i dipendenti a casa fino al 5 maggio «in attesa delle consultazioni necessarie». «Il governo ci costringe a dover fare una scelta spaventosa tra restare a sostegno del popolo afghano e rispettare le nostre norme e principi», ha detto. E ha concluso: «Qualsiasi conseguenza negativa sarà responsabilità delle autorità di fatto».
Il Paese vive un’emergenza umanitaria «senza precedenti», per impiegare la definizione dell’Ufficio Onu per l’assistenza (Ocha). La spesa pubblica ha perso i tre quarti del budget in seguito al blocco degli aiuti internazionali dopo la riconquista di Kabul da parte dei taleban. E 9,5 miliardi di dollari conservati nelle banche estere sono stati congelati. A questo si sommano gli effetti della prolungata siccità, conseguenza, a sua volta, del riscaldamento globale, sulle coltivazioni e l’allevamento, da cui dipende la gran parte della popolazione. La crisi economica è ormai devastante. Oltre ventotto milioni sui 43 milioni di abitanti hanno necessità di sostegno per sopravvivere. Di questi, 17 milioni sono gravemente malnutriti. Le Nazioni Unite hanno chiesto agli Stati membri un finanziamento di 4,6 miliardi per la crisi afghana. Finora, però, è stato ricevuto meno del 5 per cento, secondo i dati dell’ex rappresentante speciale Ramiz Alakbarov. L’operazione con meno finanziamenti al momento, dopo essere stata a lungo quella con maggiori fondi. Un segno eloquente del disinteresse generale nei confronti dell’Afghanistan, passato da fiore all’occhiello dell’illusione di “esportare la democrazia” all’abbandono. Nell’oblio, intanto, i taleban e, in particolare, la frangia più estrema incrementa la repressione ogni giorno di più, a spese dei cittadini e, soprattutto, delle cittadine