Zarifa Ghafari, 27 anni, la sindaca più giovane dell'Afghanistan, nella provincia di Maidan Wardak - Twitter
Pesano come pietre le parole che la sindaca coraggio Zarifa Ghafari affida ad Avvenire. «Io sto bene – risponde su Whatsapp alla domanda che la raggiunge nella tarda serata di domenica, quando tutto, in Afghanistan, è compiuto –. Ma sono preoccupata per la mia famiglia, per mio marito e per me stessa».
Dove si trova? «A Kabul», è la sua risposta. Poi, silenzio.
Ventinove anni (è nata nel 1992), Ghafari è la sindaca più giovane del Paese e tra le pochissime donne, nominata a 26 anni dal presidente Ashraf Ghani, di etnia pashtun come lei, dopo una selezione durissima in cui lei era l’unica donna tra 138 candidati. Era il luglio 2018 ma prese possesso del municipio di Maydan Shahr, 50 chilometri a sud est della capitale, solo dopo 8 mesi, quando riuscì a vincere l’ostilità misogina dei potentati locali.
Esile ma dalla volontà di ferro, Zarifa è uno dei volti più noti, anche all’estero, del protagonismo femminile di questi ultimi anni, ormai destinato a estinguersi. Nessun altro tentativo di contattare la giovane attivista, ieri, è andato a buon fine. Tace il suo account Twitter, che nei giorni scorsi aveva fatto risuonare tutto il suo sdegno nei confronti della “potenza straniera”, il Pakistan, che ha appoggiato l’avanzata dei taleban.
La sua pagina Facebook è rimasta per ore irraggiungibile, prima di tornare online ma senza aggiornamenti. Zarifa sa di essere un bersaglio: donna, giovane, istruita, fedele al presidente Ghani, amministratrice pubblica in una delle regioni più conservatrici, Wardak. Di recente, per proteggerla da morte annunciata, le era stato affidato un incarico in seconda linea, al ministero della Difesa, dove si occupava del recupero dei soldati e dei civili coinvolti in attacchi terroristici. Tutto azzerato.
Al sito britannico iNews l’altro ieri ha detto poche altre frasi, evidentemente sconvolta dall’accelerazione degli avvenimenti: «Sono qui seduta ad aspettare con mio marito e con la mia famiglia che vengano a prendermi (i taleban, ndr). Non c’è nessuno che possa aiutarci. E verranno, per persone come me, e mi uccideranno. Non posso lasciare la mia famiglia. E comunque, dove andrei?». Dopo averla premiata come Donna coraggiosa del 2020 (il riconoscimento le fu consegnato l’8 marzo a Washington da Melania Trump) per il suo impegno a favore dell’istruzione e della libertà femminili, gli Stati Uniti hanno lasciato sola anche lei.
Zarifa Ghafari conosce bene la violenza dei suoi avversari: lei stessa è sfuggita a tre attentati e suo padre, generale dell’esercito afghano, è stato ucciso in un agguato nel novembre 2020, forse proprio come avvertimento rivolto a lei. Pochi mesi prima, nella primavera dello stesso anno, intervistata da Avvenire per la rubrica Protagoniste, aveva detto: «Voler vivere da eroe è abbastanza normale, chi non vuole farlo? Ma quando la vita finisce, è allora che la gente deve ricordarti come un eroe. Anch’io desidero vivere da eroe e da modello per il mio Paese e per la mia gente. Ma desidero soprattutto morire da eroe – perché so che un giorno morirò – lavorando sempre di più, di più, di più per la mia gente e per il mio Afghanistan».
Parole che ci auguriamo non siano state premonitrici.