I genitori di Charlie Gard: lottarono a lungo per salvarlo - Ansa
Il 28 luglio di quattro anni fa, a Londra, moriva Charlie Gard. Affetto da una grave malattia mitocondriale sin dalla nascita, il piccolo “guerriero”, come mamma Connie e papà Chris amavano chiamarlo, spirò nel letto di un ospizio della capitale britannica poco dopo il distacco del respiratore che lo aveva tenuto in vita sino ad allora all’ospedale Great Ormond Street e che, contro la volontà della famiglia, l’Alta Corte britannica aveva ordinato di staccare “nel suo migliore interesse”. Avrebbe dovuto compiere il suo primo compleanno la settimana successiva. Dopo mesi passati a combattere la battaglia legale tentata per strapparlo alla sentenza di morte, i suoi genitori, straziati, furono costretti a dirgli addio: “Ci dispiace non essere riusciti a salvarti. Fai bei sogni, piccolo, dormi bene”.
Nell’opinione pubblica britannica, oggi, non c’è quasi più traccia di quella vicenda. Eppure, la storia di Charlie fece rumore in tutto il mondo, non solo nel Regno Unito, attirando persino l’attenzione di papa Francesco e dell’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Il ricordo del piccolo, che i genitori avrebbero almeno voluto far morire a casa, “dopo avergli fatto un bagnetto, dopo averlo adagiato in lenzuola in cui non aveva mai dormito”, è affidato solo a qualche post di commemorazione affisso sulle bacheche dei social. Le ultime notizie sui Gard risalgono a settembre dell’anno scorso quando Connie e Chris hanno portato al cimitero il neonato Oliver, venuto al mondo tre anni dopo la morte di Charlie, a “conoscere” il fratello maggiore. Nient’altro.