giovedì 23 maggio 2024
Parte dalla parrocchia di Sant’Agostino a Milano il viaggio di Avvenire negli oratori della diocesi ambrosiana. Quattro ragazzi spiegano come vedono sé stessi, gli adulti e il mondo
La parrocchia salesiana di Sant'Agostino, Milano

La parrocchia salesiana di Sant'Agostino, Milano - Parrocchia Sant'Agostino

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Leonardo, Sofia, Keith e Maria si siedono uno dopo l’altro nell’ufficio del loro oratorio e rispondono alle nostre domande. Hanno sguardi diretti, entusiasti, a volte inquieti. Portano con sé un fiume di parole. Sembra un colloquio a scuola, invece è la prima tappa di “Avvenire in oratorio” il progetto che vuole dare voce a ragazzi e ragazze che rientrano nell’ampia categoria degli “adolescenti”. A fronte di tanti documenti che li descrivono, che cosa raccontano le loro storie? Le risposte non saranno mai dati statistici ma visioni personali che permettono di entrare nelle sfumature della loro età. E cosa significhi essere adolescenti, i quattro intervistati lo sanno bene grazie ai loro 17, 18, 19 anni.

Frequentano tutti l’oratorio milanese e salesiano di Sant’Agostino e tra pochi mesi saranno animatori del Cre-Grest, ciascuno con una sua motivazione. «Sentivo che mi mancava qualcosa nella vita di tutti i giorni e in oratorio ho trovato alcune risposte» dice Leonardo. Sofia invece si è innamorata del ruolo di animatrice. Keith sceglie di prendersi una responsabilità verso i più piccoli, Maria al Grest ritrova gli amici e scopre un po’ più se stessa.

Secondo i report, gli adolescenti sono sempre più «fragili» e «soli» ma anche pieni di desideri. I nostri quattro intervistati hanno una propria interpretazione di questi aggettivi e non esitano a declinarla con esempi molto personali. «In effetti gli scorsi anni sono stati un po’ pesantini» dice Sofia sorridendo. «A 15 anni ho visto nascere in me una persona nuova che non ero abituata a frequentare, con alcuni caratteri adulti e altri infantili, spesso in lotta tra loro. Si stava formando la mia nuova identità». Quel periodo è coinciso con le quarantene e Sofia è stata l’unica della sua famiglia a prendersi il Covid: «Sono rimasta isolata per diversi giorni, è stato molto difficile. Però è stato anche utile perché mi ha permesso riflessioni che nella vita frenetica di tutti i giorni non avrei mai fatto. Ora, comunque, sono molto più serena e tranquilla con me stessa». Per Keith, 19 anni, è fisiologico che un adolescente si senta fragile. «Secondo me fa parte del percorso di crescita. Se non si vivono questi momenti adesso, arriveranno più avanti. Credo che anche le persone più socievoli in realtà, dentro, si sentano un po’ sole. Io personalmente vivo questi anni sapendo che non torneranno più e quindi mi diverto e faccio quello che penso mi renda felice. Ovviamente faccio degli errori, ma ho capito che anche gli sbagli mi rendono ciò che sono». Keith è una delle amiche più strette di Maria, che siede accanto a lei, sua coetanea. Lei ragiona sulla solitudine, tema delicato: «A volte pensi che sei grande, che devi cavartela, ma sotto sotto hai sempre quel bisogno di non sentirti sola » Nei momenti difficili chiedere aiuto è la via, dice ancora Maria. «Lavorare sulla solitudine è un percorso lungo, a volte sembra senza fine. Però piano piano vai avanti e vedi dei momenti di luce e allora pensi che le cose non sono poi così male». Da questo punto di vista, l’oratorio diventa un punto di condivisione prezioso. «Io non frequento durante l’anno – sottolinea ancora Maria – ma tornare qui come animatrice mi fa sentire più completa, mi fa ridere».

Essere in oratorio significa confrontarsi anche con il tema della fede, e qui le domande sono diverse. Ne parla Sofia: «Ci sono momenti in cui sento che credo e che questo per me è importante, quindi ad esempio vado a messa, e altri in cui dico: ma cosa sto facendo? Ho fede solo perché sono sempre stata abituata così? Non ho ancora trovato il mio equilibrio».

Sofia e gli altri hanno uno sguardo fresco anche sul mondo degli adulti, a cui portano tre desideri. Il primo viene da Leonardo: «Vorrei che i più grandi ci guardassero non come dei bambini e nemmeno come adulti fatti e finiti ma semplicemente come persone che stanno imparando. Vorrei che ci dessero più fiducia perché tra qualche anno potremmo costruire qualcosa di molto positivo». Gli altri desideri arrivano dalle ragazze. Più comprensione: «Gli adulti cercano di evitare che i figli facciano i loro stessi errori ma non possono controllare tutto. È inevitabile che anche noi sbagliamo. Ovviamente sono esseri umani e quindi anche loro fanno errori, solo che noi adolescenti li sentiamo il doppio più forte». E poi chiedono che anche i grandi mostrino le loro fatiche. «Ci troviamo davanti ad adulti che sembrano sempre perfetti e noi inevitabilmente ci sentiamo in difetto. Sarebbe bello che mostrassero di più le loro insicurezze» dicono ancora gli intervistati.

A proposito di perfezione, come vivono i social network? Le risposte sono ambivalenti. Sicuramente sono un potente mezzo per rimanere i rapporti e per informarsi in modo nuovo. «Ti faccio un esempio – dice Sofia – Ho conosciuto un ragazzo che vive a Torino, ci vediamo una volta all’anno ma grazie ai social è come se rimanessimo sempre aggiornati ». D’altro canto c’è il confronto continuo con l’immagine altrui, che spesso sullo schermo è perfetta. «Tempo fa ho scoperto che un ragazzo era interessato a me e ho pensato: ma come faccio a interessargli se lui ha a disposizione tutti quei modelli di ragazze senza un capello fuori posto, vestite sempre bene?» dice una delle adolescenti. Tra risate e sguardi seri, le conversazioni con i quattro intervistati sono intense. Si torna all’esperienza in oratorio, al loro essere insieme. Tra poche settimane vivranno una nuova estate che li porterà ancora più vicini. L’oratorio si animerà, le relazioni si moltiplicheranno, la solitudine peserà di meno. «Non avremo paura di mostrarci per ciò che siamo. Torneremo a casa distrutti ma riempiti».
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