giovedì 6 giugno 2024
La seconda tappa del viaggio di Avvenire negli oratori è a Cernusco sul Naviglio. Qui i ragazzi raccontano il desiderio di un mondo più inclusivo. E chiedono qualcosa agli adulti. Ecco le loro voci
Le ragazze e i ragazzi dell'oratorio Sacer di Cernusco sul Naviglio

Le ragazze e i ragazzi dell'oratorio Sacer di Cernusco sul Naviglio

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Matteo ha 15 anni e quando dice ai suoi coetanei che frequenta l’oratorio riceve sempre la stessa risposta: «Ah, ma allora sei un prete». No, ribatte lui, «ma qui ho trovato qualcosa che stavo cercando». Frequenta l’oratorio soltanto da un anno, in controtendenza rispetto a tanti coetanei che si impegnano nelle attività della parrocchia dopo averla frequentata per lunghi periodi. «C’è stato un momento in cui sentivo un bisogno, un vuoto, ho provato a riempirlo in tanti modi ma senza successo. Poi sono arrivato qui e ho capito che era proprio l’ambiente che cercavo». Riuscirebbe a spiegare che cosa era, quel vuoto? «No» dice ancora Matteo «so solo che ha trovato risposta».

Mentre parla, Matteo è seduto su una sedia dell’oratorio Sacer di Cernusco sul Naviglio, accanto a lui anche Cecilia, Tommaso, Giulia. Sono i protagonisti della seconda tappa di “Avvenire in Oratorio”, il progetto che vuole dare voce ai quindicenni, sedicenni, diciassettenni per fare spazio al loro modo di vedere sé, gli altri e il mondo. Ci sediamo con loro, li ascoltiamo.

Gli adolescenti dell'oratorio di Cernusco sul Naviglio che hanno dialogato con Avvenire

Gli adolescenti dell'oratorio di Cernusco sul Naviglio che hanno dialogato con Avvenire - Avvenire

Tutti e quattro gli intervistati saranno animatori del Cre-Grest ma i loro sguardi sono puntati anche fuori, tra la scuola, la famiglia, gli amici. Hanno fame di una società più accogliente e che abbia voglia di investire sui più giovani, che creda in loro. Lo racconta in particolare Cecilia G., 17 anni, studentessa del liceo artistico: «Vedo attorno a me circostanze che mi fanno pensare e mi chiedo: perché io sono nata in Europa, da una famiglia benestante, e invece c’è qualcuno che non ha nulla? Questo mi mette molto in difficoltà. E credo che vivere nella nostra società sia molto dura per chi è ai margini, escluso. Vorrei un mondo più inclusivo». Come si può fare concretamente? «Se penso alla mia esperienza, una cosa che mi pesa molto sono i commentini – aggiunge la diciassettenne –. Io so che sono difficili da evitare, però credo che le persone si possano conoscere al di là dei pregiudizi e delle frasi cattive. Penso a quello che stiamo facendo in questo momento, siamo qui in quattro a raccontare chi siamo e come stiamo, penso che banalmente le esperienze di ascolto reciproco possano avvicinare». Anche Matteo si sofferma sui pregiudizi. « A volte mi capita di essere in giro con persone che mettono delle etichette addosso agli altri solo per una loro caratteristica particolare, invece io penso che ciascuno sia fatto da tante parti che possono stare insieme ». Giulia Falzone, l’unica maggiorenne tra gli intervistati, vorrebbe soprattutto che gli adulti avessero il coraggio di cambiare il loro punto di vista. «Secondo me noi adolescenti veniamo abbastanza sottovalutati, mi piacerebbe ci fosse più disponibilità verso le nostre domande. La comprensione è fondamentale per superare i momenti difficili della nostra età».

Ecco, una delle parole che viene di solito associata all’età dell’adolescenza da studi e analisi è solitudine. E qui sono le storie personali a parlare. Cecilia G. condivide un pezzetto della sua: «Nell’ultimo anno mi sono sentita effettivamente sola, ho litigato con un po’ di persone e sentivo che tutti mi stavano voltando le spalle. Poi però ho capito che mi stavo concentrando sulle cose sbagliate. Ho cambiato prospettiva e ho visto le mie amiche che erano lì, pronte ad aiutarmi. Forse non mi ero mai resa conto di quanto fossero importanti, le avevo date per scontate». Tommaso A., 17 anni, spiega che «alla nostra età le fatiche possono essere molte, però quando stiamo in compagnia c’è un senso di spensieratezza che trasforma le cose, le rende sopportabili». «Io invece sento che la sfida più grande per me è trovare una serenità stabile, sono ancora in ricerca – questa è l’esperienza di Giulia –. Qui in oratorio ho trovato persone che mi aiutano. Abbiamo fatto alcune esperienze che mi hanno arricchita molto, come passare una settimana al quartiere Zen di Palermo, un viaggio che si fa con le quarte superiori». Che cosa l’ha colpita di più? «È un quartiere dove molte case sono abusive, dove capita spesso di vedere bruciare le macchine per strada. Lì però ho vissuto relazioni che mi hanno fatto capire quali sono davvero le cose importanti della vita. Siamo state con le suore, che nel quartiere sono molto benvo-lute, e abbiamo giocato con i bambini. Con me c’erano le mie amiche ed è stato ancora più bello condividere l’esperienza con loro».

Giulia in oratorio è anche catechista: che rapporto ha con la fede? «La risposta non è facile – dice –. Posso però dire che confrontarmi con i più piccoli mi spinge a interrogarmi e a scoprire cose nuove, loro spesso hanno una visione più ingenua della vita». Per tutti gli intervistati, stare in oratorio implica un «coinvolgimento emotivo molto forte», la voglia di stare con gli amici e di restituire «tutte le cose belle che noi per primi abbiamo ricevuto».

Prima di salutare le ragazze e i ragazzi, chiediamo se ci sia qualcosa che vogliono aggiungere. Solo Tommaso si sbilancia: «Vorrei che i grandi ci guardassero senza giudicarci. Penso agli adulti che magari sentono per caso la nostra musica e ci dicono “ma che generazione siete” senza nemmeno provare a capire. Questo screditamento mi dà un po’ fastidio».
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