Emanuela Gitto e Lorenzo Zardi - -
Da Lisbona ci portiamo a casa una consapevolezza: papa Francesco sta gridando che non è più il tempo del giovanilismo di facciata – un certo youth washing praticato da molti anche negli ambienti ecclesiali -, ma del vero protagonismo di tutti. Ce lo ha ricordato in modo particolarmente efficace all’omelia a Campo da Graça: «a voi, giovani, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno come la terra della pioggia; a voi, giovani, che siete il presente e il futuro; sì, proprio a voi, giovani, Gesù oggi dice: “Non temete!”, “Non abbiate paura!”».
Tutta la Gmg è stata un crescendo di incoraggiamenti del Santo Padre, culminato in questo virgolettato: incoraggiamenti rivolti ai giovani che sottendono delle indicazioni chiare per tutta la Chiesa.
Noi giovani viviamo di grandi opposti: possiamo essere entusiasti sognatori e, contemporaneamente, pessimisti frustrati; possiamo vivere pronti ad incarnare ideali alti, impegnandoci con gratuità e dedizione e, contemporaneamente, essere abitati dal senso di inadeguatezza e dallo scoraggiamento. Quello di cui abbiamo bisogno, è una Chiesa che tutti i giorni ci aiuti ad abitare i nostri opposti, andando oltre un certo dogmatismo colpevolizzante che continua a far allontanare molti.
Possiamo smettere di avere paura di essere cercatori di Dio e per farlo basta essere così come siamo, senza trucchi o ritocchi. Abbiamo bisogno di una Chiesa che ci rassicuri del fatto che nessuno a priori pensi che le nostre idee e stili vadano corretti: la nostra vita di fede è diversa, ma non è meno alla ricerca di Dio.
Chi e ciò che siamo, poi, serve al nostro mondo e alla Chiesa. Serve per crescere, per guardare lontano, per abitare il presente, serve perché possa esserci un futuro. Ma il protagonismo giovanile che occorre ha il profumo della scommessa di una condivisione reale della vita dei giovani. E in questo, il cammino sinodale dovrebbe aiutarci a sognare insieme una Chiesa fondata sulla fraternità, una Chiesa cioè allenata ad ascoltare, che sperimenta la libertà che deriva dal saper rinunciare alle proprie idee per accogliere la ricchezza della diversità delle vite e dei cammini di fede.
L’ultima indicazione ha a che fare con i numeri: a Lisbona eravamo tanti, dal mondo e dall’Italia. Ma ai numeri dovremmo imparare a guardare tanto con relatività quanto con apprensione. Se da un lato, infatti, aggrapparsi ai numeri in modo assoluto porta con sé la tentazione di misurare quanto siamo forti, dall’altro leggerli ci porta a portare alto – con una sana apprensione – il desiderio di farci voler portare la Sua parola d’Amore a tutti. Non possiamo che essere irrequieti se qualcuno non ha potuto sperimentare la Sua Salvezza.
La buona notizia – così come la sfida – crediamo sia proprio questa: il futuro si gioca sulla strada della cura. Probabilmente ci richiederà di assaporare meno il gusto della forza, ma sicuramente di più quello del Vangelo. E ci inganneremmo se credessimo che a Lisbona abbiamo visto una Chiesa forte della capacità di convocare; abbiamo visto i frutti di una Chiesa che sa ancora prendersi cura delle persone, dicendo parole ed essendo presenze di bene.
E una Chiesa così è una Chiesa giovane, in cui siamo certi che noi giovani sapremo alzarci e andare in fretta perché non abbiamo perso la creatività e la spregiudicatezza che rende possibile inventare il mondo e la Chiesa di domani, purché ci arrivi un messaggio in grado di coinvolgerci – da protagonisti e non da comparse – nella dimensione ecclesiale e nella vita della Chiesa!
Vicepresidenti nazionali dell’Azione Cattolica per il Settore Giovani