La psicologa Grazia Serantoni
Il suicido di un figlio. Che cosa prova, un genitore, davanti a un gesto così definitivo, incomprensibile, inaspettato? Quali sentimenti prevalgono, quali emozioni? Ne abbiamo parlato con Grazia Serantoni, psicologa, psicoterapeuta e collaboratrice dell’Associazione Save the Parents (https://www.savetheparents. it/), che promuove programmi di sostegno per i genitori che hanno perso un figlio, in particolar modo per un evento traumatico. «Perdere un figlio per suicidio fa sperimentare tutto il dolore del lutto, ma con in più alcuni stati d’animo specifici, legati proprio alla violenza dell’evento», sottolinea Serantoni. «Il senso di colpa del “sopravvissuto”, innanzitutto, che è fortissimo in questi genitori. Poi, la ricerca di un senso, che potremmo racchiudere in due domande: “perché l’ha fatto?”, “in che cosa io ho mancato perché questo potesse accadere? ». Ancora, la sensazione di non avere più voce, di essere inascoltati, soli in un dolore che nessun altro potrà capire. E il silenzio, che molti genitori si impongono pensando che non verranno più accettati ma, anzi, giudicati e colpevolizzati, proprio come loro stessi stanno già facendo».
C’è consapevolezza di tutto ciò o prevale la responsabilità” che ci si attribuisce a prescindere?
Credo sia importante riflettere su come un lutto così traumatico faccia completamente cambiare rotta alla vita di un genitore. Non si hanno più punti di riferimento, ci si sente privati di una parte fondamentale della propria esistenza e tutto il resto non ha più senso. A differenza di quanto accade per la perdita che segue una malattia, in questo caso tutto avviene così improvvisamente da non lasciare spazio per “accomiatarsi”. E questo mette in una condizione di feroce impotenza. Questi genitori avrebbero bisogno di essere ascoltati nel loro dolore. Purtroppo, però, la nostra società non è educata alla morte, alla fragilità, alla cura. E allora prevale la paura che una cosa così terribile possa accadere anche a noi. E per “proteggerci”, non vogliamo sentire o, ancor peggio, ci nascondiamo dietro il pregiudizio.
Di che cosa ci sarebbe bisogno, invece?
Sin dai primi momenti, questi genitori devono essere accolti. Serve una rete di supporto e protezione di cui devono far parte i familiari, gli amici, la comunità d’appartenenza ma anche, e soprattutto, i professionisti. L’intervento terapeutico è fondamentale per aiutarli a ridare significato alla loro esistenza e deve essere precoce e specialistico. Così come, successivamente, può essere d’aiuto il confronto e la vicinanza con chi ha vissuto lo stesso dramma, come avviene nei gruppi di auto mutuo aiuto per esempio.
A chi fare riferimento?
Orientarsi non è facile. Un primo punto di partenza può essere il medico di famiglia o una struttura che si occupi di salute mentale. Fondamentale, però, a mio parere, è che si sviluppi sempre più la capacità di fare rete sul territorio, così da poter creare un collegamento fra tutti coloro - medici e associazioni - che possano offrire un adeguato sostegno psicoterapeutico e psicosociale.
Come ritrovare la forza per guardare al futuro?
L’elaborazione di un lutto è un processo dinamico. Molti genitori lo paragonano al movimento del mare: a volte è tranquillo, a volte l’onda ti colpisce con violenza e ti travolge, per poi calmarsi di nuovo. È un moto continuo fra la ricerca di un senso e la definizione di una prospettiva. È un percorso dove si devono poter “dire” tutti gli stati d’animo che si stanno attraversando, anche i più duri e difficili. Come la rabbia verso chi ci sta vicino, chi non ci capisce, chi si pensa possa avere una qualche responsabilità; a volte, anche verso chi se ne è andato lasciandoci soli… È un cammino doloroso ma necessario per poter poi ripartire da sé stessi, dalla coppia, dalla famiglia, dagli altri figli se ce ne sono.
Come si può tenere viva la memoria senza farsi sopraffare dal dolore?
È fondamentale che non si dimentichi chi non c’è più. Bisogna farlo, però, riuscendo ad accoglierne il ricordo anche in una nuova vita. Diversa da quella che è stata, e che non sarà più, ma possibile. L’eredità di un figlio non deve tenere i genitori “congelati” nella ripetizione del passato ma, piuttosto, aiutarli ad andare avanti per ridefinirne la memoria con amore.