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Un appello ascoltato a metà. Dopo mesi di iniziative e di proteste da parte di magistrati, avvocati e addetti ai lavori, il Governo ha preso atto che la riforma finalizzata a realizzare il Tribunale per la famiglia non è percorribile. L’entrata in vigore, prevista per il 17 ottobre di quest’anno, è slittata alla stessa data del prossimo anno. Una scelta che, si dice, dovrebbe preludere a un rinvio più lungo. Magistrati minorili e procuratori dei minori chiedono da tempo uno slittamento almeno fino al 2030, periodo minimo – spiegano – per intervenire profondamente sulla riforma Cartabia ed eliminare i tanti aspetti che rischiano se, applicati, di “determinare il fallimento completo della sua attuazione e, con questo, la paralisi di un settore della giurisdizione essenziale per la tutela dei diritti fondamentali della persona e la protezione dei minorenni”, come scrive in un comunicato l’Associazione dei magistrati per i minori e per la famiglia (Aimmf).
Al di là degli aspetti tecnici, più volte messi in luce, ci sono due motivi di fondo che rendono vana la pretesa di rivoluzionare il diritto minorile. Impossibile pensare a una riforma così importante a costo zero e senza aumentare gli organici dei magistrati minorili. “È stata solo un’illusione del legislatore della legge delega 26 novembre 2021 n.206 immaginare una Riforma tanto impegnativa – scrivono il presidente Aimmf, Claudio Cottetellucci e il segretario generale Annamaria Casaburi - senza una valutazione preventiva di fattibilità organizzativa e senza deliberare alcun investimento in risorse umane e tecniche”.
Basteranno quindi 12 mesi per rivedere profondamente una legge che, secondo il parere unanime dei magistrati minorili, è tutta da rivedere? No, in assenza di investimenti volti a colmare le lacune da tempo ampiamente evidenti, questa proroga “avrà come unico risultato quello di dilazionare le carenze e aggravarne gli effetti: ampliamento delle piante organiche delle Procure e dei Tribunali, per quanto riguarda sia i magistrati che il personale amministrativo, superamento della mancata previsione di personale per l’ufficio del processo, dotazione ed effettiva implementazione dei sistemi informativi, reperimento delle soluzioni logistiche idonee, costituiscono altrettante precondizioni per l’attuazione della Riforma, senza le quali ogni rinvio è destinato solo a differirne nel tempo il fallimento”.
I motivi di questa ferma opposizione alla riforma Cartabia da parte dei giudici dei bambini e dei ragazzi non sono teorici. Da quasi un anno e mezzo sono state attuate alcune delle disposizioni previste dalla nuova legge. Sono stati introdotti nuovi istituti e forme processuali che hanno in buona misura modificato le forme del processo e, con queste, le modalità e le priorità del lavoro di magistrati ed avvocati. Sono anche aumentati i carichi di lavoro “soprattutto per l’accresciuta incidenza dei provvedimenti connotati da urgenza e di quelli che comportano gli allontanamenti dei minorenni in condizioni di rischio”.
Non si sono ancora dati certi, perché “l’assenza di un sistema informatico e statistico pienamente funzionante e aggiornato non consente ora di misurare l’entità degli effetti di queste modifiche”. Ma i magistrati non hanno dubbi. “È certo che nell’ultimo anno è aumentato il numero e la durata dei procedimenti pendenti ordinari, perché non proposti in forma urgente. Si tratta di un dato preoccupante perché nella materia civile della tutela dei minori ogni procedimento richiede di essere trattato con prontezza; una tendenza destinata, in assenza di correttivi, ad accrescersi nel periodo della proroga”.
Da qui la necessità di una profonda revisione dell’impianto della riforma, finalizzata ad eliminare quegli aspetti critici più volte evidenziati che, secondo gli esperti, finiscono per tradursi “in un arretramento nel sistema delle tutele predisposte a vantaggio dei minorenni”. Tre, soprattutto, gli aspetti che concorrono a rendere la riforma Cartabia un boomerang per la giustizia minorile: l’abolizione della collegialità nelle decisioni riguardanti la responsabilità genitoriale, affidate ad un giudice solo, la mancanza della necessaria specializzazione dei magistrati del settore, richiesta dalla legge delega e ripetutamente disattesa dalla normazione successiva, l’estromissione dei giudici onorari, esperti in scienze umane, dai collegi civili che trattano i procedimenti sulla responsabilità genitoriale”. Tre errori che – conclude il comunicato Aimmf - costituiscono altrettanti errori nell’impianto della legge delega che occorre correggere”. E si tratta di questioni così complesse da richiedere ben più di dodici mesi di lavoro.