Tre fratellini a un concerto per persone affette da sordità - Ansa
Il “Progetto Siblings” della Fondazione Sacra Famiglia punta a sostenere i figli delle famiglie con ragazzi «diversamente abili» Anche Diego, 10 anni e una grave forma di autismo, festeggerà il suo Natale in mezzo ai regali. A comprendere il significato della festa lo aiuteranno mamma Chiara e papà Giuseppe. E con loro anche Desirèe, 20 anni ed Emma, 16, sorelle davvero speciali, testimoni di una condizione nella quale vivono tanti altri giovanissimi in Italia. Li chiamano siblings. Un termine che in ambito psicosociale si usa per riferirsi ai fratelli e alle sorelle di bambini con disabilità gravi o croniche oppure affetti da patologie. Secondo gli ultimi dati dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, nel nostro Paese oltre il 5% dei giovanissimi con età inferiore ai 16 anni è composto da fratelli e sorelle di bambini con disabilità e malattie rare (circa 450 mila ragazzi e ragazze). Una realtà che riguarda, in particolare, la sindrome autistica, considerati i numeri in continua crescita. Nella sola area di Milano le persone con autismo sono 9.700, di cui oltre 800 bambini di età compresa tra 0 e 4 anni, mentre più di 5.700 sono i ragazzi, nella fascia 5-19. Quasi cinquecento (480) solo le diagnosi registrate nel 2022.
Dei siblings si parla ancora troppo poco. Fino agli anni ’80 la valutazione degli effetti della presenza di bambini con disabilità sulla famiglia si basava su ricerche focalizzate principalmente sui genitori, in particolare sulla madre, considerata la principale caregiver. Di recente l’indagine scientifica ha portato alla luce i contraccolpi che la convivenza con bambini speciali può determinare sulla crescita di fratelli e sorelle, a partire dallo spostamento di attenzione da parte dei genitori. La ricerca ha indagato sulla somatizzazione del dolore, sulle emozioni e gli stati d’animo, sugli eventuali problemi sociali o relazionali. Ansia, depressione, ridotta autostima, problemi di adattamento e difficoltà scolastiche sono solo alcune delle conseguenze che può portare il disagio protratto nel tempo. La sensibilità verso questi malesseri ha visto nascere associazioni, reti e gruppi spontanei di auto e mutuo aiuto. Proprio per sostenere il vissuto fragile e delicato di questi fratelli è nato il “Progetto Siblings” della Fondazione Sacra Famiglia Onlus, dedicato a bambini, adolescenti e giovani. Grazie a un team di esperti, ragazzi e ragazze intraprendono un percorso per affrontare, dal punto di vista psicologico ed emotivo, questa difficile esperienza. Il programma è stato avviato nel marzo 2023 per rispondere alle numerose richieste da parte delle famiglie con figli disabili e ha coinvolto 12 giovani partecipanti. Sarà riproposto nel prossimo anno, a partire dal mese gennaio, sempre nella sede di Cesano Boscone. «L’obiettivo è quello di creare momenti di confronto e supporto per chi, così giovane, sperimenta tutti i giorni le difficoltà legate a disabilità e malattie», chiarisce Paola Lotti, psicologa e supervisore del progetto.
L’esperta cita qualcuna delle situazioni quotidiane che possono generare sentimenti negativi in questi bambini e adolescenti. «Può essere la rabbia, se, per esempio, la gita al parco dei divertimenti salta perché il fratello ha avuto una crisi. Oppure la vergogna, per lo sguardo curioso dei coetanei o, ancora, la frustrazione dovuta all’incapacità di intervenire negli episodi di bullismo. Si tratta di sentimenti contrastanti e di potenziali fattori di rischio per la crescita. Per questo vanno prima riconosciuti e poi presi in carico. Con la nostra mediazione e il supporto necessario, questi giovani incontrano i coetanei che vivono la stessa esperienza e il confronto permette loro di esprimere liberamente tutte le emozioni e di lasciarsi aiutare». Il progetto si articola in 6 incontri di due ore organizzati per gruppi suddivisi per età. «I programmi sono pensati per attività peculiari alle diverse fasi di vita», precisa la dottoressa. «Con i bambini si stimola la riflessione attraverso i disegni, il gioco e l’immaginazione. Gli adolescenti realizzano maschere e cartelloni che permettono di rivelare i loro stati d’animo. I grandi invece raccontano la propria storia familiare. Noi li aiutiamo a prendere consapevolezza del loro percorso ma anche a riconoscere sé stessi, spostando lo sguardo verso il futuro».
Anche Desirèe ha partecipato agli incontri organizzati dalla Fondazione. «I primi tre anni con Diego sono stati difficili», ricorda. «Non avevamo una diagnosi, perciò non riuscivamo a capire di che cosa soffrisse. Non ricevevamo aiuti dai medici e nemmeno la comprensione dei parenti e degli amici. Mio fratello ha sempre avuto molti problemi con il linguaggio, ancora adesso comunica solo per esprimere bisogni concreti ma non dice mai niente di personale. Anche ora io lo penso sempre come un bambino piccolo, sempre bisognoso della mia presenza. Faccio fatica a staccarmi da lui - prosegue la ragazza - a concentrarmi meno sui suoi bisogni per rivolgermi ai miei, nonostante sappia che è ora di pensare soprattutto alla mia vita». Desirèe riconosce anche quanto la situazione di questo fratello speciale abbia assorbito quasi completamente l’attenzione di mamma e papà. «Io però li capisco», assicura. «I miei genitori hanno sempre dovuto affrontare fatiche e difficoltà. Ma si sono comunque sforzati di dare sempre il massimo anche a me e mia sorella. Non c’è mai stato un abbandono totale, si sono preoccupati dei possibili vuoti che potevamo avvertire. Per questo motivo ora ci hanno spinto a farci ascoltare e aiutare dagli esperti del centro». Ci tiene anche a sottolineare che la sua crescita non è stata fatta solo di confusioni e rinunce ma anche di insegnamenti e opportunità. Il legame straordinario che unisce ai fratelli disabili permette infatti di sviluppare grandi potenzialità, come la capacità di empatia, la sensibilità e la pazienza. «Io, per esempio, ho sviluppato un grande interesse per la realtà educativa, infatti ho scelto di studiare alla facoltà di scienze della formazione all’Università Bicocca di Milano» fa sapere. «Grazie a Diego - conclude Desirèe - ho scoperto di sapermi prendere cura degli altri, una risorsa che sto coltivando con gli studi per poterla trasformare, con il tempo, in un vero e proprio lavoro».