martedì 18 giugno 2024
Un'etichetta per avvertire i minori del rischio. La proposta è del Surgeon general, la massima autorità di Salute pubblica statunitense: la condizione mentale dei giovanissimi mai così in pericolo
«Nuoce gravemente alla salute». Il social network come le sigarette
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Un’etichetta che avverta della nocività di quanto si sta utilizzando, simile a quella presente sui pacchetti di sigarette. È la proposta del Surgeon General, Vivek Murthy, massima autorità di Salute pubblica statunitense, che dalle colonne del New York Times nell’edizione del 17 giugno ha ribadito la necessità di prendere presto contromisure serie ed efficaci per limitare i danni che l’uso scorretto dei social media sta provocando in particolare sui teenagers. Siamo in un’emergenza, scrive senza giri di parole Murthy, e in simili situazioni non ci si può permettere il lusso di aspettare l’informazione perfetta, che confermi senza alcun margine di dubbio l’impatto negativo di un certo prodotto e servizio. Si considerano i fatti disponibili al momento, e si agisce al più presto possibile. E i fatti ci dicono che è in corso una crisi di salute mentale senza precedenti tra i giovani, con i social media - sui quali gli adolescenti americani passano 4,8 ore al giorno come dato medio – tra le cause.

Il Surgeon General riprende qui l’allarme che era stato oggetto del suo rapporto “Social Media and Youth Mental Health” uscito lo scorso anno e divenuto un riferimento internazionale sulla materia. Oltre all’etichetta di avvertimento, che da sola può avere un minimo scopo dissuasivo, come confermano le ricerche, ci vogliono leggi che contengano lo strapotere delle piattaforme. In questo momento sono in discussione al Congresso due provvedimenti: il primo è un aggiornamento in tema di privacy dei minori, il COPPA2 (Children Online Privacy Protection Act) e il secondo è il KOSA (Kids’ Online Safety Act) che si concentra sul limitare l’accesso a contenuti dannosi e inadeguati.

Secondo Murthy sarebbe decisivo imporre alle piattaforme di condividere i dati in loro possesso sui reali impatti dei propri servizi – cosa che adesso non fanno - in modo che possano essere oggetto di un’analisi da parte di esperti indipendenti.

E nel frattempo che cosa possono fare scuole e famiglie? Le prime dovrebbero garantire ambienti “senza telefono” per la didattica e la socializzazione, e le seconde adottare regole elementari e chiare, come quella di non utilizzare smartphone a letto, a tavola e nelle occasioni conviviali.

L’invito di Murthy è poi ad associarsi tra genitori, perché fare tutto questo da soli è difficile. Il riferimento è a iniziative come Wait Until 8th (www.waituntil8th.org, traducibile secondo il nostro sistema scolastico con “aspetta fino alla terza media”) che riuniscono famiglie intenzionate ad aspettare a dotare i propri figli di uno smartphone: il consiglio di Murthy è non accedere ai social media prima della scuola superiore.

In Italia un’iniziativa simile è quella della rete dei Patti Digitali (www.pattidigitali.it), non a caso in rapida crescita con una spinta dalla base di genitori e insegnanti per concordare insieme alcune norme essenziali. Anche i giovani, da parte loro, potrebbero avere un ruolo più attivo: negli Stati Uniti esistono iniziative che favoriscono il supporto reciproco e lo scambio di esperienze per mettere in atto un uso più sano del digitale, come il movimento Log Off (www.logoffmovement.ort).

“Io stesso sono padre di due figli di 6 e 7 anni, già incuriositi dai social media e mi chiedo come farò”, rivela Murthy. Non ci sono cinture di sicurezza o caschi, e nessuno oggi può assicurare che l’uso dei social media sia totalmente sicuro per gli adolescenti, prosegue Murthy. Ma non deve per forza essere così: l’industria delle auto, degli aerei e quella alimentare hanno preso contromisure di fronte a palesi problemi di sicurezza emersi nel tempo. Qualcosa del genere dovrà avvenire per i social. I genitori si sentono impotenti e incapaci di proteggere adeguatamente i propri figli – nota amaramente il Surgeon General -, e questo è terribile. La principale causa dell’attuale situazione “è l’aver lasciato briglia sciolta a tecnologie estremamente potenti senza adeguate misure di sicurezza, trasparenza o responsabilità”.

Leggendo le sue considerazioni dalla sponda opposta dell’Oceano, si prova l’insolita sensazione di avere qualche arma in più da noi per raggiungere un giusto equilibrio tra libertà e controllo nell’uso delle piattaforme: il provvedimento europeo Digital Services Act dà in mano ai regolatori un certo potere di richiamare i servizi online alla propria responsabilità nei confronti dei minori. Ed è un potere che si sta già utilizzando, come nell’indagine avviata di recente su Meta a proposito delle logiche algoritmiche che creerebbero dipendenza tra i più giovani, di cui si è parlato di recente su Avvenire (https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-commissione-europea-in-campobambini-e-social-ul).

La strada è ancora lunga, ma il punto di arrivo è chiaro. Come ricorda in conclusione Murthy, “la prova del livello etico di una società è la capacità di proteggere i propri figli”.

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