lunedì 9 settembre 2024
Nella Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, la storia di Irene, 23 anni, dimostra il ruolo fondamentale del mutuo aiuto. Anche dopo le tragedie peggiori è possibile tornare a sperare
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Il 10 settembre è la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, una tragedia che tocca ogni anno 800mila persone nel mondo e circa 4mila in Italia. Nel 2023 l’aumento di suicidi tra i giovani (10-24 anni) è stato del 75%

Sul braccio di Irene, 23 anni, studentessa universitaria di cinema, c’è un tatuaggio. Un piccolo vaso dalle forme arrotondate. Guardandolo bene, ci si accorge che sulla superficie ci sono delle linee sottili color dell’oro che seguono le tracce di minuscole fratture. Quando il sole le illumina, risplendono preziose. E rendono il vaso ancora più bello, trasformandone le fragilità in un punto di forza e perfezione.

Il tatuaggio rappresenta molto bene la forza di carattere di Irene. Perché, proprio come fanno gli artigiani giapponesi che usano l’antica tecnica di restauro del kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”, n.d.r.) per aggiustare le ceramiche e renderle vere e proprie opere d’arte, così anche lei ha deciso di “riparare” le sue ferite. Ha affrontato un dolore indicibile e incomprensibile. Con disperazione, ma anche con resilienza. E poi, ha scelto di trasformare la sofferenza in forza, per dare alla sua vita una nuova opportunità. “Io e papà avevamo un rapporto incredibile. Eravamo molto legati. Quando ero lontana da casa, per l’università, ci sentivamo al telefono ogni giorno, più volte. E tutte le mattine, era lui a chiamarmi per darmi la sveglia. Facevamo molte cose insieme e mi piaceva ascoltarlo mentre mi raccontava dei suoi mille interessi. Poi, lui si è tolto la vita. E tutto è crollato. Io non riuscivo più ad avere un bel ricordo del nostro rapporto, perché non facevo altro che chiedermi chi fosse davvero mio padre. Era la persona che avevo amato così tanto oppure un’altra, del tutto sconosciuta anche a me e a mia madre?”.

La voce di Irene è pacata e gentile. Lo sguardo è dolce, ma diretto. Le mani si muovono con delicatezza, quasi volessero rendere più lieve, per chi ascolta, il suo racconto. Suo padre si è suicidato pochi anni fa, una mattina di novembre. È uscito di casa, mentre Irene ancora dormiva, e non è più tornato. E lei, per mesi e mesi, non ha fatto altro che chiedersi “perché? Che cosa non andava? Che cosa lo tormentava così tanto da non fargli vedere altra via d’uscita se non la più definitiva?”.

“Mio padre era la persona più innamorata della vita che avessi mai conosciuto. E non aveva mai sofferto di depressione. O almeno, noi non avevamo mai colto nessun segnale. Era molto sensibile e a volte un po’ “sulle nuvole”, certo. E si preoccupava sempre tanto per tutto, anche per le piccole cose quotidiane. Era sempre stato così, però. Ed è incredibile, per me, pensare a come sia riuscito a nasconderci quello che provava davvero. Era in Sicilia, con la mamma. A un certo punto, però, una zia, a cui era molto legato, era caduta ed era stata ricoverata in ospedale. Papà era preoccupato per lei e così era rientrato prima. Io ero all’università, ma nel fine settimana tornavo a casa”.

Quando Irene si sveglia, la domenica mattina, suo padre non c’è. Un po’ si stupisce. Poi controlla il telefono (“avevamo la condivisione delle nostre posizioni”) e si accorge che sembra essere da molto tempo nello stesso posto. Dapprima, pensa sia nel suo vigneto. Lì non lo trova, però. E allora inizia a cercarlo, insieme al suo ragazzo. E tocca a lei scoprire che cosa è accaduto. Così come tocca a lei comunicarlo a sua madre. “Mamma era in nave, stava tornando dalla Sicilia. Il telefono non funzionava molto bene. E poi, da lontano, non avrei saputo che cosa dirle. Allora ho deciso di andare al porto. Quando l’ho vista scendere sulla banchina le sono andata incontro. Avevo pensato di aspettare a darle la notizia quando fossimo state a casa. Lei, però, ha cominciato a chiedermi di papà: “come mai non l’ho ancora sentito? Perché non mi chiama?”. E allora gliel’ho detto. Non mi ricordo come, però, ho rimosso tutto di quel momento”.

Per Irene inizia un periodo difficile e dolorosissimo. Sostiene ancora un esame ma poi lascia l’università. Non riesce più a studiare. Non riesce più a mangiare. Non riesce più a pensare.

Non riesce più a fare niente se non a dormire tutto il giorno. Tocca il fondo della sofferenza e ci si abbandona. Ed è sola, senza più nemmeno i suoi amici. “Al funerale di papà erano tutti accanto a me. Il giorno dopo, però, erano spariti. Credo avessero paura del mio dolore, non sapessero come affrontarlo né riuscissero a capire il perché di un gesto tanto violento e inaspettato. Non lo capivo nemmeno io. Continuavo a farmi domande e ad aspettarmi risposte che, lo avrei compreso solo dopo un po’ di tempo, non avrei mai potuto avere.

Dovevo affrontare anche quello, però. Così come la folle altalena di sentimenti su cui mi ero ritrovata all’improvviso. Il senso di colpa per non aver capito la sofferenza di mio padre, per non essergli stata più vicina, per non aver visto le difficoltà quotidiane con la sua mente, che le aveva ingigantite a tal punto da renderle insopportabili. L’incredulità per aver scoperto alcune sue piccole “bugie” che mi confondevano, perché mi rimandavano l’immagine di un uomo che non riconoscevo più. La rabbia perché mi aveva abbandonato. I suoi amici mi ripetevano quanto bene mi volesse.

Tutto quell’amore, però, non era bastato per farlo rimanere accanto a me. Se ne era andato così, senza dirmi niente. Lo stupore davanti alle sue ultime parole, affidate a un biglietto. “Vi ho amato”. Una frase al passato, che mi aveva reso evidente come per lui, mentre la scriveva, la vita fosse ormai già finita”.

A Irene servono conforto e condivisione. E vuole averli da qualcuno che sappia capire davvero quello che sta provando, qualcuno che abbia attraversato il suo stesso dolore. E allora comincia a cercare in Rete, per ore e ore, storie di altri ragazzi “sopravvissuti” al suicidio di un genitore.

Nella sua ricerca, incrocia un gruppo di Auto Mutuo Aiuto per l’elaborazione del lutto.

Ed è lì che incontra Anna (il nome è di fantasia, n.d.r.), che oggi è la sua migliore amica. “Suo padre si era tolto la vita due mesi prima del mio… Lei è stata veramente la mia salvezza. Ci sentiamo tutti i giorni e sapere che lei c’è mi conforta tantissimo. È una parte importante della mia vita, siamo una cosa unica. Senza Anna tante mie giornate sarebbero state molto più dure, tanto dolore molto più difficile da sopportare”.

Sono passi lenti e faticosi quelli che, piano piano, allontanano Irene da quanto è accaduto.

Dolorosi, eppure inevitabili. Perché lei è giovane, troppo giovane, per non volere che questo accada.

“Quando mi padre è morto, avevo 20 anni. Che cosa avrei dovuto fare? Abbandonarmi al suo stesso dolore? Una vita infelice, però, non era ciò che volevo. E allora, visto che ero arrabbiatissima con lui, ho pensato “sai che cosa c’è papà? Tu mi ha insegnato che la vita è incredibile. È l’unico insegnamento in cui credo. Anche se tu non ci hai voluto più credere. Io la mia vita la voglio vivere. E la voglio vivere bene. Per riuscirci, ho pensato a ciò che avrei voluto davvero fare. E ho scoperto che amavo il cinema, la fotografia, i video. È stata questa passione a salvarmi e oggi studio per trasformarla nel mio lavoro. Anche la rabbia che provavo per papà, però, mi ha dato forza per cambiare rotta. E ogni tanto, con lui, sono ancora arrabbiata. Mia mamma cerca giustificazioni al suo gesto. Io non ci riesco, penso che, se avesse cercato aiuto, oggi sarebbe qui con noi”.

“Lo sento accanto a me, ma mi manca, tanto. Mi manca non poterlo chiamare al telefono, non poter passare a casa a prendere un caffè con lui, chiedergli un consiglio, farmi consolare quando sono triste. Sto per laurearmi e penso che lui non ci sarà, che non potrò condividere con lui nessuno dei miei traguardi, che lui non potrà gioire per nessuna delle mie conquiste. La perdita di papà è stata straziante e ha cambiato tutta la mia esistenza. Ho sofferto moltissimo ma, per certi versi, è come se, proprio attraverso quel dolore, avessi scoperto in me una nuova persona. Ho ritrovato il rapporto con mia madre e ora siamo più unite, più vicine. Sono più attenta alle persone a cui voglio bene anche se, nell’amicizia, oggi per me conta più la qualità che non la quantità. Vedo la vita in modo diverso. Apprezzo anche le piccole cose, che prima davo per scontate. E sono grata per la possibilità di fare ciò che amo, di seguire le mie passioni per costruire il mio futuro. A volte, penso che mio padre si sia pentito del suo gesto, che se ne sia pentito subito dopo aver scavalcato quel ponte ed essersi trovato nel vuoto… “.

Il suo ricordo sarà sempre con me. Ora, però, devo lasciar andare papà.

Non posso cambiare quello che è stato, ma posso cambiare la mia vita, prendermene cura come di un dono prezioso che, ne sono certa, ha ancora tanto di buono in serbo per me”.

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