domenica 8 ottobre 2023
L'economista Ginevra Bersani Franceschetti: gli uomini sono protagonisti del 92% degli omicidi, del 98% degli stupri, dell’87% degli abusi su minori, dell’83% degli incidenti mortali
Ginevra Bersani Franceschetti

Ginevra Bersani Franceschetti - EPI-Photographies

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Dopo secoli passati a dire agli uomini di non fare le femminucce e ad augurare alle donne di avere determinati attributi, scopriamo grazie a una preziosa e innovativa ricerca uscita a inizio anno per Il Pensiero Scientifico Editore e curata da Ginevra Bersani Franceschetti e Lucile Peytavin che questo nostro mondo sarebbe decisamente migliore semplicemente se gli uomini si comportassero come le donne. Gli uomini, infatti, in Italia ma non solo, sono responsabili della maggior parte dei comportamenti antisociali: come si spiega nel libro “Il costo della virilità”, nel 2018 nel nostro Paese erano uomini il 92% degli imputati per omicidio, il 98,7% degli autori di stupri, l’83,1% degli autori di incidenti stradali mortali, l’87% dei responsabili di abusi sui minori. A fronte di questi reati lo Stato mette in campo forze dell’ordine, servizi sanitari, giudiziari, penitenziari, che incidono sull’economia italiana con un costo di 98,78 miliardi l’anno. Una cifra enorme, che equivale al 5% del Pil italiano del 2019 e corrisponde a più di un terzo delle entrate dello Stato; una cifra che se risparmiata potrebbe essere reinvestita a beneficio di tutti: si potrebbe ad esempio abbassare del 25% l’Irpef, rimborsare l’intero debito degli ospedali italiani, aumentare del 50% il budget del Ministero dell’Istruzione e avanzerebbero 3 miliardi, senza contare che migliaia di vite sarebbero salvate e moltissime sofferenze psicologiche e fisiche sarebbero evitate. Un approccio non ideologico, concreto, basato su dati istituzionali, che potrà parlare davvero a tutti, non solo a una platea già sensibile alle discriminazioni di genere, perché va dritto alla pancia della gente e al portafogli del contribuente: è questo l’auspicio di Ginevra Bersani Franceschetti, economista, diplomata in Finanza all’Institut d’Etudes Politiques de Paris, con cui abbiamo approfondito alcuni aspetti.

Nel libro si sottolinea giustamente che non c’è niente nella biologia né nella fisiologia degli uomini che li predetermina e li porta ad essere violenti, la responsabilità è dell’educazione, in particolare si fa riferimento all’influenza dell’ambiente familiare e degli stimoli ricevuti dai genitori, tuttavia noi sappiamo che spesso la gestione e l’educazione dei figli è quasi totalmente delegata alla madre, come del resto sono preponderanti le donne in tutti i settori dell’educazione: un aumento degli uomini in questi ruoli di cura potrebbe contribuire a scardinare il modello virile o otterrebbe l’effetto contrario?

Non è una questione di volume ma di qualità. Ancora oggi le donne in Italia si occupano tra il 70 e l’80% delle faccende domestiche e parentali e c’è una forte disparità che grava sulla loro vita professionale, ma l’educazione del bambino si fa soprattutto attraverso l’imitazione: il fatto che il padre sia assente non significa che non trasmette niente, ma trasmette il fatto che un uomo in quanto tale può stare lontano da casa per una settimana, lasciando moglie e figli. Non bisogna mai sottovalutare l’importanza dell’imitazione, che è la strada di apprendimento per i bambini; quando si parla di educazione si gioca su tutti gli strati della società: genitori — presenti o assenti sono comunque degli influencer —, scuola, po-litica, media: siamo tutte e tutti responsabili. Più uomini nei ruoli di cura potrebbero giovare a condizione che non trasmettano valori virili.

C’è un versante sul quale il nostro Paese è particolarmente indietro ed è quello dei congedi di paternità: al momento sono solo 10 i giorni obbligatori, ma si registra un aumento del numero di uomini che chiede di usufruire del congedo parentale, a dimostrazione che forse si sta facendo spazio un nuovo modello culturale. Potrebbe a suo avviso essere questa una delle chiavi del cambiamento?

Sicuramente è una delle tante chiavi del cambiamento, ma dieci giorni sono pochissimi soprattutto se rapportati al numero di settimane del congedo di maternità. I primi mesi di vita del bambino sono fondamentali per lo sviluppo fisico e affettivo tanto per il bambino che per i genitori: c’è un legame che si crea che una volta passati i tre mesi di congedo maternità il padre non potrà più ricreare. La cura del bambino è una responsabilità condivisa di entrambi i genitori, ma soprattutto i carichi familiari paritari sono nell’interesse di tutti, quindi anche il diritto alla genitorialità dei padri che subiscono questa situazione rischia di essere compromesso e molto spesso li vincola a vivere una parentalità molto meno importante rispetto alle madri. D’altra parte bisogna fare in modo che la scelta di esserci non porti pregiudizio alla famiglia: è ovvio che se il padre non è pagato non prenderà il congedo.

Andiamo verso un nuovo modello?

A questo proposito devo dire che non sono proprio convinta che stia avanzando un nuovo modello e la conferma mi arriva da alcuni dati: i dipendenti del settore privato che nel 2020 hanno usufruito dei congedi obbligatori erano 135 mila a fronte di 400 mila nascite, mentre nel 2016 erano stati 94 mila, quindi c’è stato un aumento significativo; quelli che invece hanno chiesto dei congedi facoltativi nel 2020 erano 3 mila a fronte di 9 mila (tre volte tanto!) nel 2016. Usufruire di un congedo obbligatorio non è a mio avviso indice di un’aumentata sensibi-lità, peraltro molti continuano a non prenderli. Bisogna invece trovare il modo per renderli veramente obbligatori: tu non vieni a lavorare per tot giorni perché sei in congedo di paternità. Come lo fa per le donne, l’azienda deve esigerlo anche con gli uomini. Con un maggior controllo cadrà anche lo stigma sociale e la paura di essere tagliato fuori che fa sì che molti vadano in ufficio anche quando in teoria sono in congedo. Tutte conseguenze del modello virilista che ha finora plasmato l’umanità e che — come si afferma nelle ultime righe del libro — pur prendendo il più delle volte i contorni di un viso maschile è in ciascuno di noi. Ma non è una condanna, si può cambiare: basterebbe cominciare ad educare i ragazzi come le ragazze.

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