domenica 19 novembre 2023
Tante ombre e poche luci con i nuovi tribunali per la famiglia. «No allo stesso modello processuale per conflittualità coniugale e tutela dei bambini»
«Giustizia e minori, l'illusione di una riforma a costo zero»
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1 . Una riforma radicale come quella della istituzione del Tribunale per la Famiglia – che dovrebbe entrare in vigore alla fine dell’anno prossimo – non può prescindere dal fatto che, nel disinteresse diffuso, la condizione dei bambini e degli adolescenti in Italia si è notevolmente aggravata negli ultimi venti anni, per una pluralità di fattori:

a) la crisi economica dei primi due decenni degli anni 2000 ha colpito in misura maggiore le famiglie con più figli, tanto che nel 2022, a fronte di una media del 9,7% di persone in povertà assoluta, si registra una quota per le persone di minore età del 13,4 %, che corrisponde a circa 1.269.000 minori;

b) nonostante i ripetuti richiami del Comitato Onu sui Diritti dell’Infanzia, lo Stato ha omesso di attivare forme di coordinamento centrale dei servizi a tutela dell’infanzia - che invece esistono per i minorenni che delinquono - e di introdurre parametri di riferimento comuni nel territorio nazionale, omettendo di esercitare la potestà legislativa prevista dall’art. 117 della Costituzione in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” ;

c) lo Stato ha progressivamente sottratto risorse economiche agli enti locali, erodendo così indirettamente e sensibilmente - senza troppi clamori - le risorse disponibili per la tutela dei bambini e degli adolescenti. Anche in questo caso è il Comitato Onu ad avere periodicamente segnalato il problema dell’allocazione delle risorse economiche, esprimendo nelle osservazioni del 2012 e ribadendo nelle ultime del 2019 la preoccupazione che le misure di austerità continuino a “minare l’effettiva protezione dei diritti dei minorenni”. d) la sospensione delle attività scolastiche e l’utilizzo prolungato della didattica a distanza dovuti alla pandemia hanno pesantemente penalizzato soprattutto bambini e adolescenti, specialmente quelli provenienti da contesti familiari problematici, tanto che negli anni successivi si è registrato un aumento consistente della criminalità minorile e degli atti di autolesionismo commessi da adolescenti.

Un rapporto di Save The Children del 7 settembre 2022 riporta dei dati estremamente preoccupanti, secondo cui l’Italia è uno dei paesi della Comunità Europea in cui i diritti dei minori sono meno garantiti, collocandosi al terz’ultimo posto per abbandono scolastico. Ciò significa che in ben 24 Stati dell’Unione Europea si registra un abbandono scolastico inferiore al nostro paese. Queste realtà vengono ricondotte al “disagio familiare”, eufemismo che nasconde una grave lesione dei diritti fondamentali: sono moltissimi i minori verso i quali lo Stato è debitore, largamente inadempiente rispetto ai doveri di protezione sanciti dagli artt. 30 e 31 della Costituzione.

2. In questo contesto, sul versante giudiziario la riforma Cartabia ha già introdotto alcune norme processuali che si applicano indifferentemente nei casi di conflittualità familiare (di competenza dei Tribunali ordinari) e nei casi di intervento dello Stato a tutela dei minori (di competenza dei Tribunali per i Minorenni).

La riforma ha il merito di ricondurre ad unità la materia della conflittualità familiare, prima molto frammentata, e di prestare la dovuta attenzione ai bambini e agli adolescenti nei casi in cui i genitori confliggono fra loro. Il problema, però, è la tutela di tutti gli altri minori che si trovano in situazione di pregiudizio.

Nel prevedere uno stesso modello processuale, in cui la prima udienza non può tenersi prima di due-tre mesi, la riforma non riconosce che, quando sono segnalate situazioni di pregiudizio subite dai minori in famiglia, i tempi devono essere più rapidi di un procedimento di separazione o di divorzio. Più di ogni altro soggetto fragile, i bambini, deboli fra i deboli, non sono in grado di richiamare l’attenzione del Paese sui loro diritti, di modo che il Parlamento si occupa di loro soprattutto, se non esclusivamente, nelle situazioni in cui, accanto ai loro interessi, vi sono concomitanti interessi degli adulti (si vedano, negli ultimi venti anni, le leggi sull’affidamento condiviso del 2006, sui rapporti con gli ascendenti del 2013 e sui rapporti con gli affidatari del 2015).

Non c’è dunque da meravigliarsi se la riforma, escluse le ipotesi di violenza (che riguardano sia gli adulti sia i minori), prevede un unico caso che consente di abbreviare i tempi processuali, cioè quello in cui sia segnalato che un genitore ostacola il rapporto del figlio con l’altro genitore, o anche soltanto con un parente, mentre si disinteressa di tutte le altre situazioni di pregiudizio in cui invece non è coinvolto un interesse degli adulti (abbandoni scolastici, atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, ecc.)

3. La riforma Cartabia, nell’intento apprezzabile di evitare incertezze sulle competenze dei diversi uffici giudiziari, ha previsto, per la fine del 2024, anche la soppressione dei Tribunali per i Minorenni e l’istituzione di un unico Tribunale, il Tribunale per la Famiglia. È successo così che, dopo vent’anni di crisi economica, quando finalmente, dopo la pandemia, si è avuta la possibilità di attingere a disponibilità economiche significative - da impiegare attraverso un piano ispirato suggestivamente alla “next generation” - il legislatore ha trovato il modo di costruire una riforma che prevede l’istituzione del Tribunale della Famiglia rigorosamente “a costo zero”, riforma di cui si parlava da quarant’anni e che non si era potuta realizzare proprio per i costi che avrebbe comportato.

A questo proposito, due aspetti, per la loro gravità, devono essere segnalati. In primo luogo, il fatto che i procedimenti a tutela dei minorenni, trattati oggi nei Tribunali per i Minorenni in forma collegiale e con la partecipazione dei giudici onorari, verrebbero decisi da un giudice monocratico. Riteniamo davvero che sia opportuno, in una materia così delicata e discrezionale, rinunciare alla pluralità dei punti di vista del collegio per affidarci alla testa – ma anche al cuore e alla pancia – di una sola persona? Quale giudice monocratico potrà in modo adeguato, portandone da solo il carico di responsabilità, assumere la decisione più difficile e gravida di conseguenze che un giudice possa essere chiamato ad adottare, cioè quella di allontanare o meno un figlio dai suoi genitori? Anche chi non è stato mai chiamato a giudicare può comprendere quanto un cambiamento di questo genere sarebbe sconsiderato, e infatti il Parlamento, nel momento in cui ha approvato la riforma, ha impegnato il Governo a introdurre la composizione collegiale per questi procedimenti. Come ha detto persino la stessa relazione illustrativa dei decreti attuativi, è quindi indispensabile che sia ripristinata la collegialità.

Ma occorre farsi carico anche dell’enorme problema relativo alla capacità istruttoria del nuovo Tribunale, tanto più necessaria quanto più la situazione dei servizi nel territorio nazionale è gravemente critica. Quale giudice monocratico potrebbe mai sostenere le migliaia di udienze istruttorie che ogni giorno oggi svolgono in Italia dai giudici onorari? In un contesto di così gravi inadempienze dello Stato sul versante dei servizi, se non si vuole che l’intervento a tutela dei bambini e degli adolescenti sia frettoloso e superficiale, occorre garantire la possibilità di svolgere un’attività istruttoria adeguata, utilizzando i giudici onorari o ampliando le piante organiche di quelli togati (e non soltanto dei giudici, ma anche dei pubblici ministeri).

In questa materia costruire riforme “a costo zero” è un’illusione: anche se vengono presentate così, nella realtà il costo c’è ed è a carico dei “destinatari finali” del servizio: i minori.

Presidente sezione famiglia Tribunale di Palermo Già presidente Tribunale per i minorenni di Palermo

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