domenica 3 marzo 2024
Una ricerca cinese ha messo in evidenza il rapporto tra ricchezza media e crisi demografica. Da noi crescere un bambino costa il triplo rispetto alla Francia, il doppio rispetto alla Svezia
«Figlio mio, sei un costo o un guadagno?»

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L’Italia è uno dei Paesi al mondo in cui è più costoso crescere un figlio. E probabilmente anche per questo è uno dei Paesi con i tassi di fecondità più bassi. Il dato è contenuto nel Rapporto sui costi della fecondità in Cina pubblicato nei giorni scorsi e curato da un gruppo di ricercatori dello YuWa Population Research Institute. Della ricerca si è parlato un po’ ovunque, perché gli esperti del think tank cinese, Liang Jianzhang, Huang Wenzheng e He Yafu, hanno collegato gli alti costi di assistenza all’infanzia in Cina alla crisi della natalità nel Paese, dove nel 2023 la popolazione è diminuita per il secondo anno consecutivo e il numero di nuove nascite è sceso a circa la metà rispetto a quello del 2016.

Nel rapporto, non facile da consultare perché scritto in sinogrammi, è però contenuto un confronto internazionale dal quale emerge che l’Italia contende alla Cina il ruolo di seconda nazione dove il costo del mantenimento di un figlio dalla nascita ai 17 anni è più gravoso in relazione al Pil pro capite. La classifica delle nazioni sul costo dei figli - mettendo in testa i Paesi più "virtuosi" e in fondo i più "costosi" - vede in coda la Corea del Sud, dove portare un figlio fino alla maggiore età richiede una spesa pari a ben 7,8 volte il Pil pro capite. Penultima la Cina, dove il costo ammonta a 6,3 volte il Pil pro capite, preceduta dall’Italia, con un valore di 6,28. La cosa che non può sfuggire riguarda il fatto che Corea del Sud, Cina e Italia sono tre Paesi in emergenza demografica e con un perdurante problema di natalità.

A Seul nel 2023 il numero medio di figli per donna è sceso a 0,72, il tasso di fecondità più basso al mondo, nonostante Seul abbia speso dal 2006 circa 270 miliardi di dollari in programmi per incoraggiare le coppie ad avere più figli, compresi sussidi in denaro, servizi di babysitting e sostegno per il trattamento dell’infertilità. In Cina il numero medio di figli per donna è di circa 1, e proprio per cercare di far fronte a una crisi demografica che rischia di compromettere seriamente le prospettive del Paese il governo sta valutando di togliere ogni limite al numero di figli che una coppia può avere, dopo che nel 2016 è stato superato il vincolo del figlio unico e nel 2022 è stato introdotto il limite di 3. In Italia il numero di figli per donna è sceso a quota 1,24.

Guardando alla classifica pubblicata nel rapporto cinese è difficile non essere indotti a pensare che dove il costo dei figli sia più alto anche la natalità ne risenta e, viceversa, dove è meno caro crescere un figlio nascano più bambini. In Australia per mantenere un figlio da 0 a 17 anni servono solo 2 quote di Pil pro capite, in Francia 2,2, in Svezia 2,9, in Germania 3,6, negli Usa 4,1, in Giappone 4,3, nel Regno Unito 5,25. In coda, come detto, l’Italia e la Cina con circa 6,3, e la Corea con 7,8. In Australia, Svezia e Usa il tasso di fecondità è di 1,6 figli, in Francia di 1,7, in Germania di 1,5.

C'è un limite nello studio cinese, che va evidenziato e che gli stessi ricercatori per correttezza non hanno nascosto: il costo effettivo di un figlio per ogni Paese non è stato calcolato in modo scientifico, ma si è fatto riferimento a studi già disponibili nei vari Paesi e forniti da soggetti diversi, peraltro elaborati in anni non omogenei. Trovato il costo della crescita di un figlio da 0 a 17 anni, questa cifra è stata poi messa in rapporto con il Pil pro capite nel Paese di riferimento. Questo aspetto rende meno precisa e decisamente poco scientifica la classifica, tuttavia il confronto internazionale collegato alla ricchezza pro capite di ogni Paese, può fornire indicazioni significative. Ad esempio, per l’Italia si è tenuto conto dell’indagine 2021 dell’Osservatorio Nazionale di Federconsumatori, che ha calcolato in 175.642 euro il costo medio di mantenimento di un figlio fino a 18 anni.

Lo studio dell’associazione ha preso come riferimento il dato della spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia, che secondo le indagini Istat era di 2.328 euro mensili, e da qui ha calcolato quanto i genitori spendono effettivamente per portare i figli alla maggiore età. Una famiglia bi-genitoriale a basso reddito (22.500 euro annui di entrate) spende in media 118.234 euro fino ai 17 anni del figlio; se ha un reddito medio (34.000 euro) spende 175.642 euro; con un reddito oltre i 70.000 euro la spesa sale a 321.617 euro. Lo scorso anno Federconsumatori ha invece proposto una ricerca su quanto si spende per un bambino nel solo primo anno di vita, segnalando che la cifra varia da un minimo di 7mila euro fino a un massimo di 17mila euro.

Nel valutare le cifre che riguardano le spese per i figli andrebbe comunque tenu-to conto delle scelte dei genitori. Una ricerca presentata di recente al Forum delle associazioni familiari distingue tra i costi di “mantenimento”, che valutano l’acquisto di beni e servizi considerati essenziali, e i costi di “accrescimento”, nei quali rientrano anche le spese non strettamente necessarie alla sopravvivenza, come il tempo investito dai genitori, le spese per l’istruzione o per la casa. A quanto emerge i costi del solo mantenimento per una famiglia tipo possono essere stimati in circa 533 euro al mese nei primi 5 anni di vita del figlio, e in 385 euro al mese da 6 a 18 anni.

Va detto che parlare sempre e solo di “costi” riferiti ai figli rischia di costruire una narrazione ansiogena, che trascura altri aspetti molto importanti della dimensione familiare, oltre a non valutare il “valore” che i figli aggiungono alla vita. Il confronto internazionale tra i Paesi dove è più o meno oneroso essere genitori da un punto di vista economico aiuta però a comprendere quantomeno una parte delle ragioni della crisi della natalità. Se cioè in Italia un figlio arriva a costare il triplo rispetto alla Francia, il doppio rispetto alla Svezia o il 50% in più nel confronto con la Germania, è chiaro che la dimensione economica, per quanto parziale, debba essere seriamente presa in considerazione nel momento in cui si pianificano politiche pubbliche riferite all’obiettivo di rilanciare la natalità.

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