Quali sono i bisogni in un tempo in cui la crisi di identità che poi influisce anche nei rapporti di coppia nei giovani sembra essere un’emergenza? Ne abbiamo parlato con il sacerdote torinese don Domenico Cravero, parroco, psicoterapeuta e sociologo, consulente in sessuologia clinica, da anni promotore di scuole genitori e percorsi coniugali oltre che autore di numerosi studi sul tema. «Credo che le urgenze siano due: scoprire l’altro come diverso da me e insistere sulla bellezza della sessualità umanizzata. L’eros è esperienza individuale ma non è un fatto privato: è un incontro di persone che innanzitutto si rispettano. Nell’individualismo del nostro mondo, i costumi sessuali sono stati travolti, le parole d’amore invece sono rimaste le stesse: ci si innamora come da sempre. Nella mentalità comune, il successo erotico è riportato all’orgasmo, che però non è tutto nella sessualità e neppure costituisce il suo vertice. Fin dai suoi inizi, infatti, la sessuologia ha sempre ribadito che nella sessualità umana il vero afrodisiaco è l’amore».
Per questo secondo don Cravero l’eros è un’esperienza complicata: «Per suo mezzo si vorrebbe congiungere il corpo con lo spirito, il concreto con l’astratto, la carne con l’amore. E tra i ragazzi è palpabile il loro smisurato bisogno di tenerezza. In gran maggioranza continuano a sognare l’amore, come raccontano i testi delle musiche che ascoltano o le confidenze che si raccolgono. A motivo dell’amore, la sessualità affascina ma anche perturba. Il piacere è una dimensione chiave della sessualità ma è una produzione mentale ad alta complessità perché è indisgiungibile dalle emozioni e dai sentimenti. Le delusioni d’amore, infatti, fanno molto soffrire e senza amore si precipita nella solitudine. Come indicava la sapienza antica le cose belle sono tutte difficili e ciò che è difficile richiede virtù e coraggio. Ciò che oggi ci manca è la visione di una sessualità bella. Ci manca una virtù della sessualità felice. La tradizione cristiana condensava la sua proposta in una parolaesclusiva e teoricamente chiara: la “castità” Oggi questa parola non richiama una particolare bellezza; è usata solo come sinonimo di astinenza. Pur essendo l’eco di una ricchissima ricerca e anche di coraggiose buone pratiche, non riesce più a essere intesa come la virtù della pienezza, quella che trasfigura la sessualità in intermediario dell’amore, trasforma il bisogno in desiderio e lo difende da ogni surrogato e falsificazione».
Che fare allora? «La nuova virtù, per tradurre all’oggi l’antica castità, dovrà riferirsi allo sviluppo pieno ed equilibrato delle potenzialità affettive e sessuali» suggerisce don Domenico. «Dovrà difendere l’amore dai pericoli dell’insensibilità e dell’aggressività, e orientare la sessualità alla felicità e non solo al soddisfacimento. Non si può stare però senza una virtù della bellezza erotica. A questo servono i percorsi formativi, le esperienze che gli oratori propongono ai ragazzi. La delusione amorosa, così diffusa, potrebbe essere la conseguenza di maggiori aspettative affettive per le quali non sono ancora disponibili modelli condivisi, dopo il fallimento della rivoluzione sessuale. Se non si insiste sulla virtù, la pratica educativa rischia di essere interpretata come un giogo di norme e divieti, senza possibilità di presa. Una proposta su cui sto lavorando è di intendere la castità come “mistica della carne” (F. Hadjad) facendo risplendere l’antica saggezza biblica dell’amore incarnato, il più bel dono che il cristianesimo possa offrire al nostro tempo».
Temi che don Cravero studia da anni e approfondisce nelle scuole dei genitori e nelle «costituenti educative» insistendo sul fatto che il primo modo di amare i figli è amarsi e rispettarsi come genitori. «I figli imparano l’amore dal comportamento dei loro genitori. L’amore è il primo e il più prezioso bene comune» sottolinea don Domenico. «Va quindi celebrato in luoghi pubblici (scuole e municipalità) accettando la sfida della società pluralista, aperta, democratica, per fare della sessualità un tema unitivo, non divisivo».
A partire dall’esperienza di due consultori per adolescenti che ha fondato negli anni ’90 nelle periferie di Torino don Cravero è giunto alla convinzione che «l'educazione sessuale sia un caso esemplare di educazione permanente, che inizia nella prima infanzia e dovrebbe terminare mai. Il suo obiettivo è aiutare le persone a dare significato alla loro sessualità (in qualsiasi stato o condizione esse vivano), passando attraverso i gesti e i simboli suggeriti dai loro valori, e partendo dalla conoscenza dei corpi. Ultimamente insisto sull’educazione sessuale degli adulti, cercando di individuare percorsi possibili per tutti, con un linguaggio che induca al rispetto e contribuisca a eliminare la violenza dall’amore. Che verità sarebbe quella che avesse bisogno della prepotenza per imporsi? Nella condizione adulta, si presuppone la maturità: che cioè le persone abbiano fatto tesoro di ciò che hanno imparato dalle esperienze riuscite e dai sempre possibili errori. Si previene e si contrasta la violenza di genere se s’incomincia il più precocemente possibile».