lunedì 21 ottobre 2024
La continua imprevedibilità del clima è destinata ad accelerare a causa dei cicli cumulativi che spingono l’aumento delle temperature: per tutelare l’umanità serve un approccio multilaterale
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ella popolare serie televisiva Il problema dei tre corpi, una civiltà aliena più avanzata mira a impadronirsi della Terra per abbandonare il proprio sistema d’origine, ove il gioco non modellizzabile di interferenze gravitazionali fra più corpi celesti non assicura un’orbita stabile al loro pianeta, e quindi lo espone a ricorrenti ma imprevedibili e radicali cambiamenti ambientali: un ingestibile caos. Confrontati con un ecosistema che non ha solide e cicliche regolarità di temperatura, stagioni, piovosità e via dicendo, questa civiltà antica ha progredito ma con estrema lentezza perché sempre giungeva un mutamento di equilibrio sistemico a rovinare la festa dello sviluppo.

Qualcosa di simile aspetta noi terrestri a causa del crollo degli equilibri climatici e ambientali. Alla crisi del clima si associano comunemente spettri di nuove scarsità e due ordini d’impatti su tre: i rischi per la salute umana e i danni provocati da un clima più violento. Sono dimensioni preoccupanti ma occorre aggiungere un terzo impatto molto più minaccioso, ovvero la randomizzazione caotica dei cosiddetti servizi ecosistemici. In parole povere, il problema non è tanto che ci saranno più siccità e cicloni: se questo fosse il trend di mutamento stabile e prevedibile, sia pur con costosi investimenti, si può comunque pianificare un adattamento. Adattarsi risulta invece molto più difficile all’imprevedibilità dei fenomeni climatici – di qualunque natura – e al crollo dei loro cicli ricorrenti.Il Sahel, ad esempio, non si desertifica per mancanza di pioggia bensì perché una quantità immutata di precipitazioni cade in un periodo più breve e quindi in modo violento, tale da erodere gli strati superficiali dei suoli, più ricchi di nutrienti. Oltretutto, non si tratta di una nuova e magari problematica configurazione che tuttavia è stabile e quindi gestibile con un’adeguata pianificazione, bensì di precipitazioni violente che compaiono in momenti sempre più disordinati. Le attività umane – in primis l’agricoltura ma non solo – fanno fatica a strutturarsi su un clima imprevedibile: se non sai quando piove, non sai nemmeno quando seminare.Il sistema produttivo ha difficoltà a mantenersi funzionale se i servizi da cui ancora dipende – quelli dell’ecosistema, come l’acqua o la fertilità, inutile che ci illudiamo di essere una bolla al di sopra della natura – non rispondono più ai cicli su cui si è strutturata l’economia.

Molta più fatica fa l’ecosistema poiché la sua vitalità si innesta su dei sincronismi simbiotici fra regni e specie, che sono regolati dal clima: non è un caso che i parti di molti animali siano sincronizzati su fasi di maggior generosità della vegetazione nella produzione di nutrienti; ma se la primavera ritarda e le piante non danno frutti, non per questo mamma orsa può ritardare il parto. Con l’effetto serra è impazzito il clima ovvero l’orologio che sincronizza la natura, che di conseguenza deperisce a ritmi sempre più accelerati, privando anche noi dei suoi servizi, ma anche la scansione temporale e la stabilità di contesto delle attività produttive umane. Ciò non toglie nulla alla gravità dei nuovi cicloni o delle calure che insidiano gli anziani – gli impatti della crisi che più sono considerati – ma concentrarsi solo su queste due categorie d’impatto, dimenticando l’effetto caos, sarebbe come dedicare ogni sforzo al mal di denti di un malato di cancro. E il caos – nelle interazioni clima, biosfera, umanità – è destinato ad accelerare in misura esponenziale. Si profila l’avvio di cicli cumulativi auto-acceleranti che sospingono l’aumento della temperatura, di due tipi: cicli ecosistema-ecosistema, accanto a spirali cumulative ecosistema-umanità-ecosistema. Circa quindici cicli di auto-riscaldamento che scattano quando l’alterazione di uno dei parametri dell’ecosistema porta ad alterarne un altro che, a sua volta, provoca il peggioramento della prima alterazione. Così sappiamo che il cambiamento climatico devitalizza la biodiversità cosa che, a sua volta, altera ulteriormente il clima; che l’iniziale fusione dei ghiacci artici ha diminuito il loro complessivo ruolo di specchi che rispediscono l’energia solare nello spazio provocando un’accelerazione del riscaldamento, che porta a ulteriore fusione dei ghiacci che… in una spirale in potenziale drammatica accelerazione.

Ma lo scenario si complica ulteriormente – e ogni predizione diviene velleitaria – poiché, accanto allo sregolamento cumulativo a catena dei parametri ecosistemici, operano anche cicli in cui è l’umanità ad agire da volano. L’alterazione della natura induce condotte distruttive anche presso la comunità umana, che a loro volte amplificano l’aggressione all’ecosistema, che quindi sospinge ancora di più l’umanità a scelte nocive. Banalmente: più fa caldo, più uso i condizionatori, più emetto CO2, più farà caldo. Una sfaccettatura di questa nefasta dinamica è che il deperimento e l’aleatorietà dei servizi ecosistemici incoraggiano la destabilizzazione e la conflittualità che – a parte i drammi umani – a loro volta hanno un pesantissimo impatto sull’ecosistema e i suoi servizi, peggiorando lo stato dell’ecosistema.Scarsità e caos quindi. Per affrontarli la maggior parte degli Stati ha scelto un mix di due strategie: sono disponibile a cooperare ma nel frattempo rafforzo le mie posizioni sul campo. La classica prudenza – comunque difendo competitivamente la mia comunità – diviene tuttavia illusoria e persino autolesionista se si considera che anche in questo settore gioca un effetto di soglia: oltre un certo grado di competizione la componente cooperativa diviene impossibile.Se la risposta fosse prevalentemente di competizione fra Stati, proporzionale alla dose di fluidità e alle poste in gioco esiziali che si profilano, non rimarrebbe nessuno spazio significativo di cooperazione.

Gli Stati si trasformerebbero così in giganteschi volani del ciclo distruttivo ambiente-umanità-ambiente, accelerando l’apertura della fase caotica. E su questa almeno una valutazione è scontata: non ci sono vincitori prevedibili, raggiungerla implica in ogni caso tradire il mandato di ciascuno Stato di operare per la protezione della propria comunità. Né le fortezze nazionali né le grandi fortune economiche possono assicurare, neanche a pochi privilegiati, benessere e sicurezza nel medio termine in un contesto di caos in crescita esponenziale. Giungiamo così a una conclusione banale: la direzione già cercata sul piano multilaterale – cooperazione nell’assistenza anzitutto ai più fragili – si conferma quella più utile anche in un’ottica di puro interesse nazionale, mentre il riflesso condizionato della competizione fra nazioni risulterebbe suicida. Assume invece una valenza concreta, non solo etica e idealista, una prospettiva nuova: come prima ineludibile condizione di tutela dell’umanità, e persino degli interessi nazionali, è urgente una tregua universale per il pianeta.

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