mercoledì 30 giugno 2021
Riconversione e costi percepiti
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La diffusione delle società benefit è stata sostanziale in questi ultimi mesi. A dispetto della pandemia, infatti, il numero delle società benefit è raddoppiato nel 2020. Sicuramente i settori che appaiono più interessati da tale processo sono quelli dell’agricoltura e dei servizi mentre numeri minori sembrano emergere dal comparto manifatturiero. In linea generale, i settori manifatturieri sono quelli che hanno sofferto di più in primo luogo all’indomani della grande crisi di fine 2008 e poi adesso a causa del lockdown seguito alla pandemia di Covid-19. Sebbene la fiducia delle imprese manifatturiere sia cresciuta in maniera sostanziale come testimonia una crescita del 44% tra giugno 2020 e giugno 2021 dell’indice di fiducia Istat, è assolutamente comprensibile che l’incertezza sia ancora dominante nelle valutazioni di manager e imprenditori del comparto.

Dato che trasformare la propria società in una società benefit ovvero costituirne una nuova equivale a compiere un investimento, è chiaro che l’incertezza corrente tenda a limitare i nuovi investimenti degli imprenditori. In linea generale, infatti, un investimento incorpora e concreta la visione del futuro dell’imprenditore. In parole più semplici un imprenditore compie le proprie scelte di investimento sulla base di aspettative e valutazioni in merito al futuro dei mercati. Nel caso di creazione di una società benefit, l’investimento non riguarda esclusivamente però l’acquisizione di nuovo capitale fisico da destinare alla produzione. In questo caso l’investimento riguarda la riconversione non solo dei processi produttivi ma soprattutto dell’impiego e dell’impegno del capitale umano già incluso nell’attività aziendale. La scelta di un’identità aziendale con una mission di tipo benefit comporta costi fissi di vario tipo, in particolare costi di aggiustamento, con dei ritorni però incerti. L’inclusione del beneficio tra gli obiettivi aziendali, comporta infatti una 'riconversione' di processi e comportamenti consolidati e accettati non solo nelle imprese ma anche nel mercato. È evidente che tale riconversione possa implicare dei costi di aggiustamento. E in questa fase, è plausibile che gli imprenditori e i manager del settore manifatturiero possano dare eccessiva enfasi a tali costi.

Se l’incertezza di questi tempi non bastasse, infatti, tale interpretazione sarebbe riconducibile alla 'prospect theory' così come spiegata dal premio Nobel dell’Economia Daniel Kahneman. Questa teoria si basa sull’idea che le persone siano avverse alla perdita e che quindi diano più peso alle perdite rispetto ai guadagni. In termini prospettici, questo implica che alcune decisioni non vengono prese in virtù del fatto che le perdite potenziali possano 'pesare' più dei guadagni attesi. Tale previsione comportamentale associata a costi di aggiustamento percepiti come elevati in una fase di incertezza come quella attuale contribuisce a spiegare perché nel settore manifatturiero vi sia un numero minore di società benefit. Tale prospettiva, peraltro, appare indirettamente confermata dai primi studi disponibili che mostrano come le società che hanno deciso di trasformarsi in benefit si comportavano già come società benefit de facto. In questo caso, infatti, i costi di aggiustamento non potevano che essere percepiti come molto bassi.

Al fine di superare questa apparente impasse, è giusto immaginare degli incentivi concreti a favore degli investimenti nelle benefit e delle benefit. In questo senso, il credito di imposta già approvato per i costi di trasformazione in società benefit è un ottimo primo passo anche se sarebbe da valutare anche un’ulteriore agevolazione per i nuovi investimenti che le società benefit possano compiere quantomeno al momento della trasformazione o della costituzione.

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