giovedì 15 febbraio 2024
Uno dei brand simbolo della moda ha rilocalizzato parte della produzione in Italia, stringendo il rapporto con il territorio. Bertelli: «La trasparenza obbliga a scelte sostenibili»
Formazione e tracciabilità dei capi, Prada e la sfida sostenibilità
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Può un’azienda essere oggi davvero “soltanto” un’azienda? Può cioè un’azienda non tenere conto di fattori ed elementi diversi da quelli del prodotto che realizza o del servizio che offre, come l’attenzione al bene comune, il rapporto con il territorio e le comunità in cui è inserita, la formazione dei dipendenti e comportamenti che siano davvero sostenibili?. «Dipende forse dal tipo di azienda, dal settore – osserva a L’Economia Civile Lorenzo Bertelli, 35 anni, presente e futuro del Gruppo Prada –. Ma io ritengo che realtà del nostro settore abbiano il dovere di ispirare in senso positivo la propria comunità. Per questo cerchiamo di fare ciò che riteniamo corretto, nella speranza che questo possa influenzare altre aziende a fare lo stesso».

Figlio della stilista Miuccia Prada e del marito e presidente del gruppo Patrizio Bertelli, attualmente a capo della responsabilità sociale del gruppo dopo un passato da pilota che lo ha visto protagonista nel mondo del rally, Bertelli junior nei giorni scorsi ha partecipato nella sede parigina dell’Unesco al lancio della nuova edizione del programma Sea Beyond, dedicato alla tutela e all’educazione sull’oceano. Un impegno che prevede una nuova campagna di sensibilizzazione rivolta ad oltre 34mila studenti di 184 scuole in 56 Paesi e che il Gruppo Prada sostiene con l’1% dei proventi della Collezione Prada Re-Nylon, con la collaborazione, tra gli altri, di Bibliothèques Sans Frontières (Biblioteche Senza Frontiere). L’iniziativa a difesa dell’ambiente va di pari passo con un percorso che una delle aziende simbolo del comparto del lusso e della moda, tra quelli che hanno il più elevato impatto ambientale ma anche sociale, sta compiendo anche su altri fronti, dalla tracciabilità dei materiali e della filiera alla crescita della produzione sul territorio italiano, fino alla formazione dedicata ai giovani con una vera e propria academy. Al 2019 risale, inoltre, l’adozione di una politica Fur-Free, con l’eliminazione completa della pelliccia animale a partire dalla collezione donna Primavera/Estate 2020. «Se a livello interno la responsabilità sociale del gruppo si concretizza con tutti i nostri programmi di sostenibilità per i dipendenti, ma anche a livello di fornitori, esternamente sosteniamo attività come quelle di Sea Beyond – osserva Bertelli –. Da una parte cerchiamo di usare sempre più materiali sostenibili e adottare comportamenti che abbiano un minore impatto, riducendo ad esempio il consumo d’acqua e di elettricità nella produzione, dall’altra cerchiamo di ispirare il consumatore a fare lo stesso».

Moltissime forme di contaminazione, dalla plastica all'inquinamento luminoso, minacciano gli ecosistemi marini, a partire dagli oceani. Una sfida ambientale che Sea Beyond affronta tramite la formazione di migliaia di ragazzi e proponendo loro di mettersi in gioco attivamente, creando una campagna educativa su questi temi rivolta ai propri coetanei, in modo da rendere i loro comportamenti, e quelli delle loro comunità, maggiormente responsabili verso le acque oceaniche. Ma sostenibilità, per Prada, si traduce anche in Aura Blockchain, un consorzio creato tre anni fa insieme a Lvmh e Cartier e che promuove l'utilizzo di un'unica soluzione blockchain globale, aperta a tutti i marchi del lusso a livello mondiale, per garantire ai consumatori maggiore trasparenza. Il progetto consente la tracciabilità sia a monte che a valle nella catena di fornitura, rafforzando, oltre che la lotta alla contraffazione, l'approvvigionamento di materie prime. « Il nostro obiettivo era di poter avere uno strumento che garantisse la massima trasparenza al consumatore – osserva Bertelli –. E se tu sei trasparente non puoi nascondere comportamenti negativi, non sostenibili. La trasparenza “obbliga” le aziende, ma anche gli stessi consumatori, a comportamenti maggiormente sostenibili». Bertelli fa notare come «spesse volte, al di fuori del panorama europeo, è difficile avere la stessa trasparenza che si ha in Europa, e non necessariamente perché ci sia malafede. Proprio per questo, per la necessità da parte delle aziende di avere un maggior controllo e una migliore trasparenza sulla filiera, molte imprese preferiscono oggi rilocalizzare in Europa e, nel nostro caso in Italia, una parte della produzione». Sono 24 gli stabilimenti produttivi del gruppo Prada, 21 dei quali in Italia. Ambienti che, sottolinea il gruppo, devono far sentire le persone «integrate, partecipi e responsabili».

Gli impianti vengono costantemente ammodernati anche in un’ottica di decarbonizzazione, con le emissioni Scope1 e Scope2 ridotte del -34% rispetto al 2019, l’utilizzo di nylon riciclato e anche una collezione di gioielli in oro riciclato. L’impressione è che il gruppo punti sempre più a internalizzare una produzione che diventa sempre più «artigianale», ma per far questo è cruciale anche la formazione per le giovani generazioni. Non a caso, già da molti anni l’azienda ha fondato una Prada Group Academy, in cui si condividono e sviluppano conoscenze, sapere, tecniche e idee innovative per formare i talenti e garantire la crescita futura del gruppo e, in parallelo, quella dei territori in cui si produce. «C’è molta richiesta di manodopera, tanti posti di lavoro, la formazione è necessaria – conclude Bertelli –. Questo è un lavoro che alle nuove generazioni piace molto: i giovani sono sempre più fieri di concretizzare i prodotti che realizzano».

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