La centrale a carbone di Edf a West Burton, nel Regno Unito. L'azienda ne ha disposto la chiusura per il 2022 - Edf
Nell’addio al carbone – una delle fonti di energia più inquinanti – l’Europa ha raggiunto il giro di boa. Il 22 marzo Electricité de France, la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, ha comunicato che nel 2022 spegnerà la sua centrale inglese a carbone da 2.188 MW di West Burton. Con questa chiusura, salgono a 162 le centrali a carbone europee che saranno spente entro il 2030. Sono la metà delle 324 totali.
A tenere il conto è l’Europe beyond coal, coalizione di movimenti della società civile impegnati in una campagna per il “phase out” (eliminazione graduale) del carbone. «Siamo alla fine dei giochi per l’industria del carbone in Europa», ha affermato la direttrice della campagna, Kathrin Gutmann. «Dopo anni d’inarrestabile declino, metà degli impianti europei sono storia».
In Italia l’abbandono del carbone è (quasi) completo. Il governo si è impegnato a chiudere le ultime centrali entro il 2025. Si tratta di uno smantellamento fondamentale nella strategia per la decarbonizzazione di Enel che controlla gli impianti di La Spezia, Fusina (Venezia), Civitavecchia, Brindisi e quello nel Sulcis in Sardegna. A gennaio è stato chiuso il gruppo 2 della centrale Federico II di Brindisi, la più grande d’Italia. Prossima tappa, Fusina: due gruppi della centrale veneta saranno spenti in estate. Per La Spezia e Civitavecchia bisognerà attendere un po’ di più.
«Per quanto riguarda la centrale ligure – ha spiegato il direttore Italia di Enel, Carlo Tamburi – il problema nasce dal fatto che il ministero dello Sviluppo economico, su indicazione di Terna (operatore che gestisce le reti per la trasmissione dell’energia elettrica, ndr), ha detto no alla dismissione dell’impianto in assenza di una capacità aggiuntiva nell’area di 500 Megawatt». Il fatto è che alla fine del 2021 scade l’autorizzazione integrata ambientale che consente all’impianto di funzionare e «visto che per allora non saremo riusciti a realizzare con il gas la capacità richiesta, bisognerà trovare un compromesso». Questo intoppo potrebbe così rinviare l’obiettivo di dismissione di tutte le centrali a carbone entro il 2025.
Negli Stati Uniti l’uscita dal carbone è più lenta, ma la strada è quella. Nel 2020 il consumo del combustibile fossile in America è diminuito del 15% (in calo per il sesto anno consecutivo) e le energie rinnovabili sono aumentate dell’1%.
In Cina invece si continua a registrare invece un boom del carbone: con ben 3,84 miliardi di tonnellate estratte nel 2020, la produzione ha toccato i massimi dal 2015 (11,65 milioni di tonnellate). Risultato considerevole, se si tiene presente che il 2020 è stato l’anno del Covid-19 che ha colpito non solo i civili ma anche la produzione nazionale di carbone, a causa del calo dei consumi. E solo nel primo trimestre del 2021 c’è stato un incremento del 16% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2020 Pechino ha completato la realizzazione di nuove centrali a carbone per 38,4 Gigawatt di capacità complessiva.