Le aziende chiedono soprattutto competenze digitali - Archivio
In Italia si stimano quasi 55 milioni di cittadini attivi su internet, ovvero il 92% della popolazione totale mentre per lavorare nelle imprese italiane le competenze digitali sono richieste per sette assunti su dieci, pari a 3,2 milioni di lavoratori. Ma il 28,9% di questi profili, vale a dire circa 940 mila posizioni lavorative, è difficile da trovare per inadeguatezza o ridotto numero di candidati. Il risultato è spesso una carenza di competenze digitali per le pmi italiane che intanto vedono un boom di imprese che vendono on line, cresciute, in cinque anni, di quasi 11mila unità. Sono alcuni dei dati emersi nel corso dell’Internet Governance Forum Italia 2020, il processo globale, condotto sotto l’egida delle Nazioni Unite, che favorisce il confronto e il dibattito tra tutte le parti interessate alla governance di Internet, organizzato quest’anno dal sistema camerale. Se la trasformazione digitale, insomma, incalza il nostro sistema produttivo, il mercato del lavoro, secondo le rilevazioni effettuate dal sistema Informativo Excelsior nel 2019, ancora non risponde in maniera sufficiente, visto che quando le competenze digitali sono strategiche la difficoltà di reperimento sale addirittura al 36,4%.
«Sono impegnata - ha affermato la ministra per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Paola Pisano - affinché una parte delle risorse del Recovery Fund, istituito dall’Unione Europea per mitigare i danni causati dal Covid-19 alle economie, sia destinata all’aggiornamento professionale e a migliorare le competenze digitali degli italiani. Nelle scuole, nelle Università e nei posti di lavoro. Abbiamo la necessità di rafforzare le capacità di cittadini, imprese e personale della Pubblica amministrazione nell’avvalersi di nuove tecnologie. L’evoluzione di servizi digitali produrrà sviluppo se sarà accompagnata da una crescita diffusa delle competenze di lavoratori, professionisti e imprenditori di oggi di domani. Un'attenzione particolare andrà riservata alle piccole e medie imprese e alle micro imprese. Dobbiamo far sì che il personale delle aziende italiane e dello Stato sia all’altezza delle sfide che si pongono al Paese in un’epoca di rivoluzione tecnologica. Possiamo farlo, lo dobbiamo fare».
Secondo la sottosegretaria al Ministero dello Sviluppo Economico, Mirella Liuzzi, «colmare il divario digitale, al giorno d’oggi, diventa non solo un obiettivo di politica industriale, ma rappresenta uno strumento di inclusione sociale di primaria importanza per lo sviluppo armonico del Paese. Presupposto quest’ultimo che sarà possibile solo grazie ad azioni di responsabilità corale da parte di tutti i soggetti coinvolti, oltre che a una collaborazione sia a livello centrale che regionale, la digitalizzazione non aspetta».
«La digitalizzazione delle imprese oggi può valere da tre a sette punti di Pil. Per questo è urgente fare un salto di qualità per superare il gap delle competenze digitali di lavoratori e imprese allineandole alle esigenze del mercato e per colmare i ritardi infrastrutturali accumulati che ancora impediscono a tante persone, che abitano in quasi 7,9 milioni di unità immobiliari situati in oltre 6mila comuni, di sfruttare appieno i vantaggi di internet veloce». Lo sottolinea il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli, secondo il quale «il fatto che per la prima volta l’Igf venga organizzato per l’Italia dal sistema camerale testimonia il crescente ruolo di facilitatore che questo sta esercitando per la modernizzazione del Paese».
Nel 2019, su 4,6 milioni di entrate programmate, le imprese ne hanno destinate 3,2 milioni a professionisti che potessero vantare competenze digitali di varia natura e complessità. In particolare, abilità tecnologiche di base, come l’utilizzo di internet e la capacità nella gestione di strumenti di comunicazione visiva e multimediale, è stata richiesta a circa 2,8 milioni dei nuovi ingressi in azienda (il 60,4% del totale). La capacità di utilizzare linguaggi o metodi matematici è stata ritenuta necessaria per oltre 2,3 milioni di entrate programmate, pari al 51,3% del totale. Più contenuta ovviamente la diffusione della domanda di competenze specifiche per la gestione di soluzioni innovative: robotica, Big Data Analytics e Iot. Sono comunque oltre 1,6 milioni le posizioni lavorative alle quali è richiesta la capacità di gestire soluzioni di Industria 4.0 (pari al 36,2% di tutte le entrate). La capacità di utilizzare gli strumenti elementari del digitale viene vista dalle imprese come una competenza di base che le risorse debbono possedere. Queste capacità vengono richieste con un elevato grado di importanza ormai alla totalità di figure professionali quali professori, addetti all’immissioni dati, riparatori di apparecchiature informatiche, tecnici web, addetti alla contabilità e tecnici esperti in applicazioni. La padronanza di linguaggi e metodi matematici e informatici è considerata più importante invece per le professioni che si occupano della gestione e della progettazione delle soluzioni software e dei sistemi informatici. Le imprese ritengono di elevata importanza infine la capacità di gestire soluzioni innovative applicando tecnologie 4.0 per le professioni tecniche e con un alto grado di specializzazione, quali ingegneri, analisti, progettisti e amministratori di sistemi, tecnici programmatori.
Negli ultimi cinque anni sono cresciute di quasi 11mila unità le imprese che vendono sul web. A puntare sul “negozio” on line sono stati soprattutto gli imprenditori del Sud, forse per ovviare alla carenza di infrastrutture. Infatti se la Lombardia si distingue per il numero più elevato di imprese che vendono su internet (4.726), tra il 30 giugno 2015 e la stessa data del 2020 Campania e Basilicata si posizionano al top per i ritmi di crescita rispetto al resto dell’Italia (rispettivamente +25% e +26% contro +15,3% medio annuo). Un segno del cambiamento delle abitudini di consumo che, soprattutto in epoca di coronavirus, permette agli imprenditori che commerciano sulla “rete” di potere contare su una marcia in più. Più in dettaglio confrontando il segmento delle vendite web con l’intero mondo del commercio, tra il 2015 e il 2020, le imprese della vendita al dettaglio attraverso internet sono aumentate di 10.826 unità, pari ad una crescita media del 15,3% all’anno, portando a quota 24.971 il numero complessivo degli “shop” online. Nello stesso periodo, invece, l’insieme del settore del commercio al dettaglio ha perso quasi 50mila imprese.