martedì 6 agosto 2024
Secondo Alessandro Guzzini (Finlabo) il nervosismo degli investitori non è esagerato: pesano i cattivi segnali che arrivano dall'economia americana, mentre i titoli tecnologici sono sopravvalutati
Alessandro Guzzini, ceo e fondatore di Finlabo

Alessandro Guzzini, ceo e fondatore di Finlabo - Finlabo

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Non è una semplice correzione estiva, ma qualcosa che ricorda la crisi delle “dotcom” dell’inizio del millennio, avverte Alessandro Guzzini, fondatore e ceo della società di investimenti Finlabo Sim e presidente della sezione di Macerata dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti.

Bastano i cattivi dati sul lavoro negli Stati Uniti a giustificare questi crolli delle Borse?

I numeri diffusi venerdì scorso da Washington, con la contrazione dei nuovi posti di lavoro e l’aumento della disoccupazione, sono stati oggettivamente brutti. Quello che stiamo vedendo è che dagli Stati Uniti emergono nuovi segnali recessivi, stiamo passando da una narrativa del soft landing, l’atterraggio morbido dell’economia, a quella dell’hard landing, un caduta che può essere brusca. La disoccupazione che risale dopo essere stata per un paio d’anni su livelli estremamente bassi è un sintomo di raffreddamento dell’economia, che può anticipare una vera e propria recessione. Certo, non è l’unico fattore ma è un fattore importante.

Quali sono gli altri elementi che spiegano le massicce vendite sui mercati?

C’è un altro grande tema, oltre allo spettro della recessione: è il tema di mercati che negli ultimi anni sono stati esuberanti. Abbiamo visto crescere un movimento speculativo trainato dalla narrativa sull’intelligenza artificiale, qualcosa che mi ricorda molto il boom e il seguente crollo dei titoli tecnologici legati al web a inizio 2000. Veniamo da un anno particolare: dall’economia reale venivano segnali che non erano positivi, ma i mercati continuavano a salire, spinti soprattutto dai titoli tecnologici grazie alle prospettive dell’IA. Sicuramente l’intelligenza artificiale è un settore dal grande potenziale, se però andiamo a vedere i conti delle aziende che stanno trainando l’entusiasmo degli investitori ci accorgiamo che quasi tutti, a parte Nvidia, sono in perdita. Le aspettative enormi hanno prodotto valutazione scollegate dalla realtà e ora la bolla potrebbe scoppiare.

Non c’entra il fatto che siamo in agosto, con il calo degli scambi che favorisce la volatilità?

Sicuramente è un elemento importante anche questo: mercati meno liquidi si prestano a rialzi o ribassi più bruschi. Però starei attento a non sottovalutare il rischio recessione: in Europa l’economia è in forte frenata, negli Stati Uniti i segnali preoccupanti si moltiplicano. Oltre ai cattivi dati sul lavoro c’è l’indice manifatturiero del Michigan che indica contrazione, mentre il Pil americano è stato molto pompato con deficit di bilancio. Quello che ha spinto la ripresa degli Usa dopo il Covid sono stati gli investimenti tecnologici, se vengono meno quelli cambia completamente l’outlook sulla crescita, e il mercato si adegua.

La Federal Reserve sarà costretta ad accelerare verso il taglio dei tassi?

Secondo me sì: l’inflazione è ormai un problema molto ridimensionato, negli Stati Uniti è ormai scesa al 3%, in Europa anche più sotto. Abbiamo avuto diversi mesi di tassi reali negativi, cioè con un costo del denaro sotto il livello dell’inflazione, ma ora siamo tornati ad avere tassi largamente positivi. Negli Stati Uniti non ci sono più ragioni di mantenere tassi di interesse sopra il 5%. A mio modo di vedere la Fed ha spazio per un taglio del costo del denaro nell’ordine di 2 punti percentuali, in tempi abbastanza rapidi. Non dimentichiamoci che il mantenimento dell’occupazione rientra nel mandato della banca centrale americana, e storicamente la Fed è molto attenta a quello che succede sui mercati. Anche perché la caduta delle Borse riduce la ricchezza delle famiglie, provocando a sua volta un calo della fiducia dei consumatori e quindi della propensione al consumo.

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