giovedì 10 ottobre 2024
Ufficialmente sono più di 30 le vertenze per le quali è stato aperto un confronto nazionale al Mimit-Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Oltre 60mila i lavoratori a rischio
Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy

Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy - Archivio

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Ufficialmente sono più di 30 le crisi aziendali per le quali è stato aperto un tavolo nazionale al Mimit-Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Oltre 60mila i lavoratori a rischio. Il Mimit starebbe monitorando anche altre 20 situazioni difficili nelle quali l'impresa, pur non versando in uno stato di crisi conclamata, opera in settori fragili. L’estate scorsa, i tavoli aperti sulle aziende da Nord a Sud erano 73, per un totale di 95mila lavoratori a rischio licenziamento. Il report della Cgil sottolinea i settori dove maggiori sono i rischi sulla tenuta occupazionale che interessa in totale oltre 120mila lavoratori italiani. Ammontano a 70mila le unità in difficoltà nel settore automotive e 25.459 in quello siderurgico. Difficoltà si registrano inoltre per le aziende che operano nella produzione di energia e nei comparti elettrico, telecomunicazioni, chimico, petrolchimico e raffinazione. Per il sindacato il numero non tiene conto poi dei lavoratori di aziende in crisi che hanno tavoli aperti a livello regionale e dei 5.141 lavoratori di imprese che non hanno ottenuto un tavolo al ministero. Tra le ultime vertenze arrivate a palazzo Piacentini, Bellco, Fbm Hudson, Liberty Magona, Seri Industrial. Ma sono state trovate anche soluzioni, come la chiusura dell'accordo per lo stabilimento Marelli di Crevalcore (Bologna) ceduto a Tecnomeccanica.

I tavoli di crisi sono uno strumento fondamentale per gestire le situazioni di emergenza che possono verificarsi all’interno delle aziende, garantendo la partecipazione attiva e responsabile di tutte le parti coinvolte. «Il nostro impegno sui tavoli di crisi è quello di dare soluzioni per mantenere i siti industriali e i livelli occupazionali - spiega il ministro del Made in Italy Adolfo Urso -. Parliamo della Benso, della filiera automotive, delle foundry sui semiconduttori e Vibac per la produzione in asse e prodotto adesivo. Siamo impegnati perché vi siano sempre soluzioni positive, come abbiamo fatto in tanti altri tavoli di crisi in questi 20 mesi. Come abbiamo fatto in Emilia Romagna, per quanto riguarda Marelli, e come stiamo facendo per La Perla e come abbiamo fatto per il caso piuttosto significativo del sito Wartsila a Trieste e come abbiamo fatto in Campania per quanto riguarda Whirlpool Emea o anche Fos Battipaglia e per Industrie Italiane Autobus di alto profilo. Finalmente si tona a produrre bus nazionali. I tavoli di crisi li abbiamo dimezzati rispetto a quelli ricevuti. In piena trasparenza. Sul sito del ministero c'e' tutto. Nessuna azienda giunta al nostro ministero è stata chiusa».

Come funzionano i tavoli di crisi

In un momento storico caratterizzato da una forte incertezza economica e sociale, come quello che stiamo vivendo, questi tavoli rappresentano un’occasione per affrontare le problematiche connesse alle crisi, dalle riorganizzazioni aziendali alla tutela dei lavoratori, e per promuovere un confronto costruttivo tra i rappresentanti dei lavoratori e quelli dell’azienda. I tavoli di crisi sono degli organismi istituiti all’interno delle aziende per affrontare situazioni di emergenza e crisi. Vengono quindi attivati all’occorrenza e rimossi una volta risolta la situazione emergenziale. Si tratta, quindi, di un’occasione di confronto e di negoziazione in cui i rappresentanti delle parti sociali, ovvero dei lavoratori e dell’azienda, si incontrano per discutere e trovare soluzioni condivise ai problemi che si presentano. Il compito di questi tavoli è quello di individuare le soluzioni migliori per far fronte alla crisi aziendale, tutelando al contempo i diritti dei lavoratori e garantendo la continuità dell’impresa. A tal fine, i rappresentanti delle parti sociali si incontrano con il compito di negoziare e concordare azioni volte a ridurre l’impatto della crisi sull’occupazione e sui lavoratori. Le soluzioni da mettere in campo sono molteplici e variano a seconda della situazione specifica in cui versa l’azienda, ma le principali possono essere: la riduzione dell’orario di lavoro; la cassa integrazione; la formazione professionale; la mobilità; il prepensionamento. Individuata la strategia da implementare per far fronte alla crisi aziendale, il tavolo di crisi monitora l’andamento della situazione e interviene laddove dovessero essere necessari dei correttivi. Quando la crisi aziendale coinvolge aziende o realtà imprenditoriali di rilevanza nazionale, si attivano dei tavoli di crisi aperti e gestiti dalla Struttura per le crisi di impresa, secondo le direttive ministeriali. Le istanze di istituzione di un tavolo di crisi di rilievo nazionale, quindi gestiti tramite la Struttura per le crisi di impresa del Mimit, possono essere avanzate da: organi sociali dell’impresa interessata; creditori dell’impresa interessata; amministrazioni nazionali e regionali; organizzazioni sindacali, anche di categoria, di carattere nazionale e le associazioni datoriali, parimenti di carattere nazionale.

La Struttura ministeriale procede con le seguenti azioni: analizza le cause della crisi, con riferimento sia a fattori endogeni (ad es. difficoltà finanziarie, di natura gestionale/manageriale, insostenibilità dei costi, processi di ristrutturazione/riorganizzazione), sia a fattori esogeni quali quelli relativi all’andamento del settore produttivo di riferimento o del quadro macroeconomico; verifica le concrete possibilità di superamento dello stato di crisi, la realizzabilità delle soluzioni di riequilibrio e la relativa sostenibilità economica delle stesse, anche attraverso la valutazione di piani industriali e di riassesto ovvero promuovendone l’adozione; prospetta possibili misure per la salvaguardia dei livelli occupazionali, ivi inclusi eventuali piani di formazione, riqualificazione e ricollocamento e potenziali lavoratori in esubero; cura l’aggiornamento, con cadenza almeno trimestrale, del portafoglio di offerte da trasmettere al Comitato per l’attrazione di investimenti esteri, anche al fine di valutare la possibilità di interventi finanziari da parte di soggetti terzi. Può avvalersi di Cassa Depositi e Prestiti e di altri soggetti istituzionali.


La crisi nella moda

Le imprese della filiera pelle e accessori moda stanno attraversando un momento difficile. «Il nostro comparto, composto da circa 11.500 aziende per un fatturato complessivo pari a circa 33 miliardi di euro l’anno, vive un momento complesso che ci porta a dover affrontare situazioni per certi aspetti inesplorate - conferma Claudia Sequi in rappresentanza di Confindustria Moda, la Federazione che oggi rappresenta Assocalzaturifici, Assopellettieri, Aip-Associazione Italiana Pellicceria e Unic concerie italiane -. Per dar voce a quello che chiedono le aziende abbiamo partecipato al Tavolo Moda "plenario", ma anche a tutti quelli di segmento che l’hanno preceduto, coordinati dalla consigliera Elena Lorenzini. In riunioni costruttive abbiamo illustrato le problematiche legate ai fenomeni inflattivi, all’incremento dei tassi d’interesse da parte della Bce quale misura macroeconomica adottata per raffreddare la curva: oggi, gli oneri finanziari per molte imprese sono diventati insostenibili e la crisi in atto ha determinato un deterioramento del ciclo del capitale circolante. Questa situazione sta soffocando le imprese e, unita a un contesto geopolitico difficile con due guerre alle porte dell’Europa e ripercussioni anche in Italia, sta rischiando di farci perdere quel manufatturiero di cui andiamo giustamente fieri. Le aziende non ce la fanno e rischiano di chiudere».

I dati confermano le preoccupazioni espresse dalla Federazione: nei primi quattro mesi dell’anno, il comparto accessori moda ha registrato un calo dell’export del -7,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. È inoltre da escludere una ripartenza nel breve periodo: le anticipazioni di Istat relative al mondo della pelle mostrano una nuova sensibile diminuzione delle vendite all’estero (nell’ordine del -10% su maggio 2023) che potrebbe portare il cumulato attorno al -8,5% sul periodo gennaio-maggio dello scorso anno. Il crollo repentino nei livelli produttivi, già in corso negli ultimi mesi 2023, ha portato inoltre a una brusca impennata nel ricorso agli strumenti di integrazione salariale. Nei primi sei mesi dell’anno, infatti, c’è stato un aumento nel numero di ore della Cig autorizzate pari al +138,5% (sono state autorizzate poco meno di 18 milioni di ore contro i 7,5 milioni di gennaio-giugno dello scorso anno). I livelli attuali – inferiori negli ultimi 15 anni solo alle autorizzazioni record del primo semestre del 2020 e del 2021 di piena emergenza pandemica – risultano quattro volte e mezzo superiori a quelli di gennaio-giugno 2019 pre-pandemia (+351,1%) e del +15,4% rispetto a quelli dei primi sei mesi del 2010, durante la crisi economica mondiale.

«Come sindacato abbiamo il dovere di tenere la guardia alta rispetto alla crisi che vive il complesso settore del made in Italy, per rispondere alle esigenze di tutela di una produzione di qualità e, soprattutto, della piena e buona occupazione. Proprio i dati relativi ai livelli occupazionali, produttivi e del ricorso alla Cassa integrazione sono sconfortanti e rivelano il peggiorato stato di crisi. Le organizzazioni sindacali hanno già contribuito a presentare richieste specifiche, sapendo che occorre prima di tutto attivare politiche attive e di sostegno, agendo con la massima attenzione per le crisi aziendali in atto, per l’innalzamento delle richieste di cassa integrazione e per il rialzo dei costi energetici che si stanno manifestando nei vari distretti del settore». Così Filctem Cigl, Femca Cisl, Uiltec Uil. «È necessaria – proseguono i sindacati - una seria progettazione di politiche industriali che sappia rilanciare l’intera filiera. Riteniamo inoltre che sia giunto il momento di rinnovare i contratti collettivi nazionali ancora aperti, al fine di tutelare il potere d’acquisto alle lavoratrici e ai lavoratori interessati. Al governo abbiamo chiesto e continueremo a chiedere: ulteriori agevolazioni per la crescita delle imprese dal punto di vista dimensionale; soluzioni utili a far rientrare quelle imprese che hanno delocalizzato all’estero; applicazione delle più moderne tecnologie, utili a certificare il prodotto di settore e la buona e sicura occupazione; acquisizione per i lavoratori delle idonee abilità per svolgere mansioni diverse o per migliorare quelle già utilizzate; sviluppo delle reti informative condivise; promozione della riconversione green delle filiere e sviluppo di piattaforme nazionali per il riciclo, riuso e smaltimento dei prodotti tessili; agevolazioni nell’acquisto di prodotti sostenibili».

La vertenza Fos

Alla presenza delle rappresentanze sindacali nazionali, territoriali e Rsu della Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, del management di Fos (Prysmian Group) e della Jcoplastic (gruppo Foresti), e alla presenza dei rappresentanti del dicastero e della Regione Campania, è stato illustrato l’accordo sottoscritto dalla Fos Srl e dalla Jcoplastic con i sindacati di settore. Nell’intesa - sottoscritta all’interno del percorso di reindustrializzazione che prevede la trasformazione del sito dalla produzione della fibra ottica alla costruzione di macchinari per l’elettrolisi, lo stoccaggio energetico da idrogeno e la sua interfaccia digitale con la rete di distribuzione elettrica - è stato convenuto che ciascun lavoratore in forza alla Fos di Battipaglia potrà scegliere tra diverse opzioni, supportate anche con incentivazioni: opportunità di nuovo impiego presso altre aziende del gruppo Prysmian; adesione al progetto Persona per la formazione e riqualificazione finalizzata alla rioccupazione nel rinnovato stabilimento che sorgerà a Battipaglia; opportunità di autoimpiego; accompagnamento alla pensione.

«Riteniamo l’accordo importante, e auspichiamo possa essere d’esempio a livello nazionale, perché salvaguarda la vita di 274 lavoratrici e lavoratori diretti e altrettanti dell’indotto, nonché il tessuto manifatturiero, in un territorio con difficoltà occupazionali. Un progetto, quello che si andrà a concretizzare, che guarda alle transizioni. Tuttavia esprimiamo amarezza per l’abbandono della produzione di fibra ottica (Fos era l’unica realtà produttiva in Italia). Il Paese ne subirà le conseguenze, in un futuro che sarà sempre più digitale», hanno ribadito i rappresentanti dei sindacati di categoria Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil.

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